Necessaria la diagnosi precoce
L’epatite è oggi una delle principali cause di cancro al fegato e di morte nel mondo. Ogni giorno si stimano circa 8mila nuove infezioni da epatite B e C, con una diffusione silenziosa soprattutto nelle aree dove l’accesso a test e trattamenti è limitato. La maggior parte delle persone colpite non sa di essere infetta. La diagnosi precoce diventa quindi un passaggio fondamentale per accedere alle cure e prevenire conseguenze gravi. I mezzi per combattere l’epatite esistono: vaccini efficaci, terapie curative e misure di prevenzione consolidate. Ma bisogna arrivare in tempo.
L’Italia tra i Paesi più attivi, ma si può fare di più
L’Italia è stato uno dei primi Paesi al mondo a introdurre, nel 1991, la vaccinazione obbligatoria contro il virus dell’epatite B nei neonati, misura che ha permesso un importante contenimento della diffusione del virus. Dal 2020 è inoltre attivo un programma nazionale di screening gratuito per l’epatite C rivolto ai cittadini nati tra il 1969 e il 1989, circa 18 milioni di persone. Il programma, partito con ritardo a causa della pandemia, è ancora in corso grazie a proroghe annuali. È previsto anche per gruppi particolarmente vulnerabili, come le persone con dipendenze e i detenuti. L’Associazione EpaC ETS, impegnata da oltre 25 anni nella lotta alle epatiti virali e presente nei tavoli di lavoro nazionali e regionali, chiede da tempo che lo screening venga ampliato ad altre fasce di popolazione e diventi strutturale, così da garantire una reale continuità nella prevenzione. L’associazione sottolinea anche la necessità di “una comunicazione più efficace da parte delle istituzioni e di un’organizzazione capillare da parte di Regioni e ASL”.
Il ruolo strategico della diagnostica
Accanto ai programmi di prevenzione, è fondamentale il ruolo della rete dei laboratori. L’AMCLI ETS (Associazione Microbiologi Clinici Italiani) è fortemente impegnata nel sostenere i percorsi diagnostici, indispensabili per attivare le cure in modo tempestivo. “Il contrasto e la diagnosi precoce delle epatiti virali sono un impegno costante – afferma Pierangelo Clerici, presidente AMCLI –. L’attività dei laboratori è centrale per sostenere programmi di screening efficaci e prendere in carico i pazienti”.
Verso l’eliminazione dell’epatite entro il 2030
Ogni 28 luglio, in occasione della Giornata mondiale dell’epatite, data di nascita di Baruch Blumberg, scopritore del virus HBV e premio Nobel per la Medicina, l’OMS rilancia l’obiettivo globale: eliminare l’epatite virale come minaccia per la salute pubblica entro il 2030. Raggiungere questo traguardo significa rafforzare la vaccinazione alla nascita contro l’epatite B, garantire pratiche sicure di iniezione e trasfusione, e ampliare l’accesso a test e terapie, integrandoli nei servizi di assistenza primaria e nei programmi di salute pubblica già esistenti, come quelli per l’HIV, le malattie croniche, il cancro e la salute materno-infantile. È fondamentale inoltre disporre di sistemi informativi robusti per monitorare i progressi e garantire trasparenza e responsabilità. Servono politiche sanitarie inclusive e sostenibili, che mettano davvero al centro la persona e la prevenzione.
Un appello alla responsabilità collettiva
“Conoscere il proprio stato di salute – osserva Carlo Federico Perno, direttore dell’Unità di microbiologia del Bambino Gesù di Roma – è il primo passo per evitare le conseguenze più gravi dell’epatite. Diagnosi precoce e trattamenti tempestivi salvano la vita”. L’OMS invita tutti, a partire dai cittadini, a fare la propria parte: sottoporsi ai test per epatite B e C, vaccinare i neonati contro il virus HBV nelle prime 24 ore di vita, parlare con i propri medici per accedere ai percorsi di cura e contribuire a combattere lo stigma legato alla malattia. Solo con un’azione collettiva e coordinata sarà possibile trasformare l’obiettivo “eliminare l’epatite” in una realtà concreta, prevenendo decessi evitabili e riducendo in modo significativo il carico di malattia nei prossimi anni.