In alcune regioni dell’Africa subsahariana, da anni, i medici osservavano un fenomeno difficile da spiegare: bambini e adolescenti diagnosticati con diabete di tipo 1 riuscivano a sopravvivere anche senza iniezioni quotidiane di insulina. Una circostanza considerata anomala per una patologia che, nella sua forma autoimmune classica, impone una terapia insulinica a vita. Ora, un vasto studio internazionale appena pubblicato su The Lancet Diabetes & Endocrinology svela il perché: in due casi su tre si tratta di una nuova forma di diabete, diversa dal tipo 1.
Il lavoro è il più ampio mai condotto sul diabete giovanile in Africa. Ha coinvolto quasi 900 giovani sotto i 30 anni provenienti da Camerun, Uganda e Sudafrica, tutti inizialmente diagnosticati con diabete di tipo 1. La ricerca, finanziata dal National Institute for Health and Care Research britannico, è stata condotta da ricercatori dell’Università di Yaoundé (Camerun), dell’MRC/Uganda Virus Research Institute della London School of Hygiene and Tropical Medicine, dell’Università del Witwatersrand (Sudafrica) e dell’Università di Exeter (Regno Unito).
I risultati ottenuti hanno sorpreso gli stessi ricercatori: “Circa il 65% dei giovani arruolati per lo studio non aveva gli anticorpi tipici del diabete autoimmune, né presentava predisposizione genetica al diabete di tipo 1”, spiegano. Non solo: i pazienti “non mostravano nemmeno caratteristiche compatibili con altre forme note di diabete, come il tipo 2 o quello correlato alla malnutrizione”. Tutto lascia pensare a un nuovo sottotipo di diabete non autoimmune, non classificato finora a livello globale.
“Ci siamo sempre chiesti perché molti giovani a cui era stato diagnosticato il diabete di tipo 1 riuscissero a sopravvivere senza insulina, almeno per un certo periodo. Ora, questi nuovi risultati confermano il nostro sospetto di lunga data – afferma Jean Claude Katte, ricercatore dell’Università di Exeter e dell’Exeter NIHR Biomedical Research Centre -. Nel diabete autoimmune classico, questa situazione è estremamente rara”. La scoperta è stata ribattezzata progetto YODA (Young-Onset Diabetes in Sub-Saharan Africa). E potrebbe cambiare il modo in cui si diagnostica e si tratta il diabete in milioni di persone.
Per verificare se questo nuovo tipo di diabete esista anche fuori dall’Africa, gli scienziati hanno analizzato i dati di oltre 3mila bambini inclusi nello studio statunitense SEARCH for Diabetes in Youth. Il sottotipo è emerso “in un piccolo numero di bambini afroamericani, ma era assente nei partecipanti bianchi”, osservano. Il che suggerisce, secondo i ricercatori, una possibile origine legata a fattori ambientali o ancestrali, e non a una predisposizione genetica generalizzata. “La scoperta evidenzia una lacuna importante nella ricerca globale sul diabete”, commentano gli autori dello studio. “Finora, la maggior parte degli studi si è concentrata sulle popolazioni occidentali bianche, trascurando la diversità genetica e ambientale nei diversi contesti regionali”. Il prossimo passo sarà cercare di capire le cause di questa nuova forma: “Potrebbero essere infezioni, fattori nutrizionali o tossine ambientali. Se riusciremo a identificarle, potremmo prevenire nuovi casi e sviluppare trattamenti più mirati”, sottolinea Katte.
Per Moffat Nyirenda, direttore dell’MRC/Uganda Virus Research Institute e referente della London School of Hygiene and Tropical Medicine, “questi risultati sono un campanello d’allarme. Sfidano le nostre convinzioni sul diabete di tipo 1 e dimostrano che la malattia può manifestarsi in modo diverso nei bambini e adolescenti africani. Dobbiamo approfondire le nostre ricerche sui fattori biologici e ambientali, e assicurarci che diagnosi e trattamenti siano adeguati al contesto locale”. Un concetto ribadito con forza anche da Eugene Sobngwi, direttore della Health Care Organisation and Technology presso il ministero della Salute del Camerun e ricercatore senior sul diabete: “È urgente – conclude – investire in una ricerca che tenga conto delle specificità regionali. Altrimenti rischiamo di diagnosticare e trattare in modo errato milioni di persone”.
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato