Contributi e Opinioni 13 Gennaio 2023 12:15

Omicidio colposo e patologie del paziente

La Cassazione ha stabilito che l’accusa di omicidio colposo può essere infondata se il paziente è affetto da numerose patologie

di Riccardo Cantini, intermediario assicurativo (Iscrizione RUI di IVASS: E000570258)
Omicidio colposo e patologie del paziente

Si definisce l’omicidio colposo quando questo è commesso «[…] a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline». Ergo se ne deduce che un medico, non osservando le comuni regole di condotta professionali per leggerezza o inesperienza, può incorrere facilmente in questo reato. Ricordiamo anche che la pena prevista va dai sei mesi ai cinque anni.
Va però evidenziato come sia fondamentale, al fine di emettere una condanna di tal fatta, riscontrare un nesso causale pressoché certo tra la condotta del professionista e il decesso del paziente.
Un modo piuttosto comune di procedere, in sede di giudizio, per stabilire un nesso del genere, è quello di chiedersi: cosa sarebbe successo se il medico avesse invece seguito con diligenza, perizia e prudenza le più consone regole di condotta professionali? Il paziente sarebbe deceduto lo stesso? In termini tecnici, logico-filosofici, un tale modo di ragionare è detto “ipotesi controfattuale“.

La sentenza 48220/2022

Una recente sentenza della Cassazione, dello scorso ottobre, ha in effetti utilizzato una struttura argomentativa di tipo controfattuale per ribaltare il giudizio di primo grado e confermare quello dell’appello.
Nello specifico, tre cardiochirurghi vengono condannati in primo grado per omicidio colposo di un paziente anziano sottoposto ad un intervento a cuore aperto, per due motivi distinti:

  • due di essi in quanto responsabili di aver compiuto l’intervento – finalizzato ad impiantare due bypass coronarici – con una certa superficialità, generando complicanze di salute al paziente;
  • il terzo professionista per aver tenuto un atteggiamento inspiegabilmente attendista durante il ricovero del paziente successivo all’intervento, quando invece avrebbe dovuto intervenire chirurgicamente di nuovo ed in maniera tempestiva.

L’appello si è però svolto secondo una logica opposta rispetto al primo grado. I giudici, infatti, «[…] hanno ritenuto indimostrato, sotto il profilo controfattuale, che una diversa condotta avrebbe garantito, in termini di apprezzabile probabilità, la sopravvivenza del paziente […]».

I ricorsi

I ricorsi presentati dalle parti civili e discussi dalla Sezione Penale 4 della Cassazione seguono più o meno l’argomentazione dei giudici di primo grado. Vengono infatti presentati quattro motivi contro la sentenza d’appello:

  1. Il primo motivo riscontra un travisamento della prova sulla causa del decesso del paziente. L’uomo non sarebbe morto per “il sommarsi delle numerose patologie: scompenso cardiaco, grave insufficienza renale, stato anemico, stato settico, che culminarono come arresto cardiocircolatorio”, come recita il giudizio dell’appello. Le complicanze che avrebbero condotto al decesso sarebbero invece conseguenza diretta dell’intervento chirurgico.
  2. Con il secondo motivo si imputa ai professionisti una condotta quantomeno superficiale nel condurre l’intervento. I medici non avrebbero cioè seguito con diligenza le Linee Guida, così come disciplinate dalla Legge 24/2017. Se lo avessero fatto, avrebbero provveduto – ad esempio – a sottoporre a bypass più vasi, come l’arteria discendente posteriore.
  3. Il terzo motivo integra il primo, soffermandosi ancora sul nesso causale tra la condotta dei medici ed il decesso.
  4. Con il quarto motivo si evidenzia l’ambiguità di alcune argomentazioni dei giudici d’appello, che fanno ritenere plausibile la negligenza del terzo medico nel decidere di limitarsi ad un mero monitoraggio delle condizioni del paziente, piuttosto che intervenire tempestivamente al fine di evitare il peggioramento.

Le argomentazioni della Corte

I giudici della Sezione Penale 4 respingono i ricorsi presentati.
In relazione al primo e al terzo motivo, si sottolinea come in appello si sia «[…] non raggiunta – al di là di ogni ragionevole dubbio – la prova del nesso causale. I giudici hanno cioè affermato che, sulla scorta dell’operato giudizio controfattuale, è risultato indimostrato che una diversa condotta dei medici avrebbe garantito, in termini di apprezzabile probabilità, la sopravvivenza o una maggiore sopravvivenza del paziente».
Sul secondo motivo, si evidenzia come «[…] [i] giudici di appello […] [abbiano] legittimamente argomentato nel senso che la tecnica chirurgica adottata era stata la migliore possibile, date le condizioni del paziente, e che comunque l’intervento era tecnicamente riuscito».
Per la Cassazione la decisione del terzo medico di non intervenire sul paziente (quarto motivo) «[…] è stata condivisa dai periti, stante l’assenza di una situazione di urgenza e considerati i rischi connessi all’intervento, in un soggetto già in precarie condizioni di salute».

Conclusione

Da quanto si può evincere dalla vicenda narrata sopra, la linea di difesa delle parti civili non ha brillato né per originalità né per robustezza. È piuttosto evidente, però, che il rischio di arrivare, per i medici, ad una conferma della condanna era piuttosto alto. Per tale motivo è sempre bene adottare gli strumenti di tutela migliori presenti sul mercato assicurativo, magari approfittando di una approfondita e qualificata consulenza professionale da parte dello staff di SanitAssicura.

 

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