Per i bambini più grandi, dalle elementari in poi, la campanella dell’ultimo giorno di scuola è già suonata. Restano i più piccoli, quelli che frequentano il nido e la scuola materna. Per loro, il mese di giugno è spesso dedicato ai giochi all’aperto e alle gite scolastiche. Ma cosa accade a un bambino con disabilità che, a scuola, ha l’assistenza quotidiana di un infermiere quando dovrebbe varcare la soglia dell’istituto per svolgere attività ludico-didattiche altrove? Lo racconta Anna (nome di fantasia), mamma di una bambina affetta da una patologia rara dell’intestino, che frequenta l’ultimo anno della scuola materna a Roma. “Mia figlia – dice – riceve assistenza infermieristica prima dei pasti, che siano il pranzo o la merenda. Peccato, però, che la stessa assistenza garantita tra le mura scolastiche smetta di esistere appena si varcano i cancelli dell’istituto – aggiunge –. E non mi riferisco al tempo libero trascorso a casa, in palestra o, ancora, alla scuola di musica e in qualunque altro luogo extrascolastico. Qui (ovviamente) ci sono io, con il supporto di mio marito, ad occuparmi di mia figlia h24. Mi riferisco, invece, alle attività che rientrano nella didattica, come appunto le gite scolastiche”.
A livello nazionale, l’assistenza sanitaria scolastica è riconosciuta dall’articolo 3 del D.P.C.M. 185/2006 e dalle Linee guida del 2005 sull’integrazione scolastica. Lo ribadisce anche l’Accordo Stato-Regioni del 6 dicembre 2007, che prevede la figura dell’infermiere per gestire, nelle scuole, terapie farmacologiche e interventi sanitari. Ma nessuno chiarisce se queste competenze debbano essere garantite anche durante le attività didattiche all’aperto, come le gite. Anche nella Carta dei servizi di Roma Capitale si sottolinea l’impegno a “favorire la partecipazione” degli studenti disabili, incluso l’accesso agli “studi scolastici, trasporti e assistenza specialistica”. La Regione Lazio, d’altro canto, riconosce nei suoi piani di inclusione scolastica l’obbligo di progetti personalizzati che coprano anche le uscite didattiche, definendo la necessità di ‘assistenti specialistici’ nei casi più fragili. “Ma traslare questi diritti dalla teoria alla pratica è tutt’altro che semplice”, assicura Anna.
Sua figlia ha un’ipotonia residua e, grazie a molti anni di terapie specialistiche, oggi, all’età di cinque anni, corre, gioca e sogna come tutti gli altri bambini della sua età. Tuttavia, essendo portatrice di PEG-PEJ (un presidio gastro-intestinale), l’assistenza infermieristica resta imprescindibile. Per questo, per seguire il suo gruppo di compagni di classe in gita, ha la necessità di un’ombra premurosa al suo fianco. “Lo scorso anno al parco tematico, un mese fa alla fattoria e tra pochi giorni all’osservatorio astronomico – racconta ancora la donna –. Aspetto fuori, in auto. Entro solo nel momento della necessità, in punta di piedi, per non far emergere ulteriormente la sua ‘diversità’”.
Una diversità che, purtroppo, emerge più spesso di quanto dovrebbe, per una scarsa cultura dell’inclusione. “È capitato anche che, in una scuola di danza, ci dissero che non se la sentivano di accogliere una bambina con i suoi problemi. Per fortuna, non la pensano tutti così, tanto che mia figlia ha appena completato il primo anno di ginnastica artistica”. Anna, lì, ha visto sua figlia sorridere, partecipare, sentirsi ‘normale’. Come tutti gli altri. Ed è questo il punto: non serve alcun privilegio, solo equità. Dare la possibilità a una bambina fragile di partecipare senza costringere sua madre a un ruolo di soccorritrice silenziosa. Riconoscere che non si tratta di gesti eccezionali, ma di inclusione concreta, quella che vive dentro e fuori i cancelli scolastici.
E mentre ci si avvicina alla fine dell’anno scolastico anche per la scuola materna, Anna ha già programmato, con largo anticipo, le attività estive. “Frequenterà un centro estivo privato dove, dopo aver conosciuto mia figlia, hanno offerto la loro massima disponibilità all’accoglienza. Ora, resta solo un altro nodo da sciogliere: l’assistenza infermieristica. Sono già all’opera da due mesi per spostare il ‘domicilio dell’assistenza’ dalla scuola che frequenta al centro estivo. Sono in due distretti differenti, quindi cambia l’ASL di competenza. Dopo lunghe trafile, ho ricevuto la telefonata di una dottoressa – racconta –. Ha detto che la mia richiesta di assistenza infermieristica in un centro estivo è piuttosto ‘fuori dalle righe’, ma si è detta disponibile ad accordarla, al fine di garantire una continuità alla socialità di mia figlia. Alla fine del mese di giugno sarà la volta del sopralluogo e solo allora sapremo come andrà a finire. Magari vi racconterò più avanti il resto della storia”.
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