Lavoro e Professioni 15 Aprile 2019 15:58

#UnGiornoCon | Terapia della Neuro e Psicomotricità dell’età evolutiva. Ecco come il terapista guida il bambino nel superamento dei suoi ostacoli

L’esperta: «Con la terapia neuropsicomotoria è possibile trattare le patologie del neurosviluppo, che riguardano capacità cognitive, intellettive, di coordinazione, ma anche disturbi della sfera comportamentale, psicologica o psico-educativa»
di Isabella Faggiano

Seguire un oggetto con lo sguardo, fino ad allungare una manina per afferrarlo. Gattonare per trovare un appiglio al quale sostenersi per mettersi in piedi. Coordinare il movimento delle braccia con quello delle gambe. Sono solo alcune delle competenze che un bambino acquisisce naturalmente durante i primi anni di vita. Abilità che, in presenza di particolari patologie, possono trasformarsi in ostacoli insormontabili.

Ma grazie alle neuropsicomotricità queste difficoltà possono essere affrontate e superate. Come? «Attraverso specifici esercizi che, come un abito, vengono cuciti su misura nel rispetto delle esigenze di ogni piccolo paziente», spiega Lucia Scarpellini, terapista della Neuro e Psicomotricità dell’età evolutiva, membro del direttivo nazionale e coordinatrice dei referenti regionali dell’associazione tecnico-scientifica ANUPI TNPEE.

«Attraverso la neuro psicomotricità – continua la terapista – è possibile trattare le patologie del neurosviluppo, che riguardano capacità cognitive, intellettive, di coordinazione, ma anche disturbi della sfera comportamentale, psicologica o psico-educativa».

Per comprendere meglio le potenzialità degli interventi di neuro psicomotricità abbiamo affiancato Lucia Scarpellini durante una sua giornata di lavoro.

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Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva: un’eccellenza italiana. Bonifacio (Anupi TNPEE): «Non ci sono professionisti simili in Europa e nel mondo»

Prima ancora che il piccolo paziente bussi alla porta la terapista si è già preparata ad accoglierlo, adeguando la stanza alle sue specifiche esigenze. «Al momento della presa in carico del bambino – commenta la terapista – viene effettuata una valutazione che permette di costruire il setting terapeutico da utilizzare durante le terapie successive».

Una parte della stanza è sempre dedicata all’accoglienza del piccolo: «Nella sala dedicata alla terapia è sempre presente uno spazio morbido – dice l’esperta – con tappeto e cuscini, dove il bambino può esprimere liberamente la sua corporeità, la sua necessità di muoversi. Il terapista, in questa fase osserva, a volte in modo distaccato, indiretto, la mobilità del bambino e solo successivamente interviene».

Ed è solo a questo punto che si entra nel vivo della terapia. Ecco alcune delle più comuni modalità di intervento. «Nei bambini piccoli che hanno difficoltà motorie o neuromotorie – spiega Scarpellini – è importante facilitare l’apprendimento di posture adeguate relative all’età di sviluppo del piccolo. Per sostenere queste difficoltà il bambino viene accompagnato con sollecitazioni anche fisiche, come lo spostamento di un braccio o di una gamba, per raggiungere degli obiettivi dapprima più semplici, poi più avanzati».

Una terapia specifica è, invece, dedicata alla promozione della coordinazione occhio-mano: «Si utilizzano quasi sempre dei giocattoli, oggetti che il bambino conosce o a cui è particolarmente interessato. Il ruolo del terapista – aggiunge l’esperta – è quello di facilitare l’esperienza del bambino integrando anche gli aspetti cognitivi del movimento. Nei deficit della visione, invece – aggiunge la terapista -, è importante motivare il bambino a svolgere quelle funzioni visive che difficilmente metterebbe in atto, proprio perché sono quelle che funzionano meno, che sono deficitarie. In questo modo il terapista utilizza delle fonti sonore e luminose, suoni o luci che possono guidare il bambino. Si utilizzano molto sonagli, campanelli, bicchierini, ciotole. Il bimbo, ad esempio, sentendo il rumore di qualcosa che cade in una ciotola può identificare sia l’oggetto, che collocarlo nello spazio, percependo la fonte del rumore frontalmente, dietro o lateralmente».

In molte patologie neuromotorie e di sviluppo non c’è una buona integrazione di coordinazione del corpo, tra la parte superiore e quella inferiore. «In questo caso – sottolinea Scarpellini – tutti i movimenti devono essere coordinati affinché lo sviluppo del bambino diventi globale e quindi proceda in modo equilibrato e armonico. Si propongono delle facilitazioni come il contatto, la pressione sul bimbo da parte del terapista, in modo che il bambino possa sentire lo spostamento del corpo rispetto ad un percorso motorio».

A seconda della patologia o del disturbo si utilizzerà una delle modalità di intervento specifiche, ma il momento del saluto, come quello dell’accoglienza, è piuttosto universale. «Quando la terapia è quasi giunta al termine – dice Scarpellini – il terapista comincia a fare un elenco delle cose che sono state fatte, vissute con il bambino. In questo modo si lascia un ricordo, una traccia che può diventare anche grafica: il terapista può chiedere al piccolo paziente di rielaborare, attraverso un disegno, l’esperienza appena vissuta. Questa traccia rappresenterà il punto di partenza della seduta successiva. In questo modo il bambino sarà in grado di memorizzare ciò che ha fatto, ma anche di raccontarlo, ad esempio ai genitori che non hanno partecipato alle terapie».

Il saluto finale, quello che si compie sull’uscio, lascia sempre qualcosa in sospeso: «Al bambino verrà detto che ci si vedrà la prossima volta per fare un determinata cosa o per scoprirne un’altra, così da stimolare la sua curiosità e soprattutto – conclude Scarpellini – la sua voglia di ritornare, ancora una volta. Per raggiungere un nuovo traguardo».

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