Tra diabete e tumore del colon metastatico potrebbe esserci un filo nascosto nel Dna. Il diabete di tipo 2, oltre ad essere una delle patologie croniche più diffuse (solo in Italia colpisce circa quattro milioni di persone), renderebbe anche i tumori più aggressivi. Ma perché? Una risposta arriva da Napoli, dove il Centro Ames ha identificato due mutazioni genetiche – nei geni CDKN1B e TCF7L2 – che sembrano spiegare il legame tra diabete e peggior prognosi nel cancro del colon metastatico. Pubblicato sull’International Journal of Cancer, lo studio, interamente italiano, segna un punto di svolta nella comprensione del rapporto tra metabolismo e oncologia, e apre nuove prospettive per una medicina di precisione che guarda al profilo genetico per curare meglio e prima.
“Abbiamo analizzato il profilo genetico di questi tumori utilizzando un pannello istituzionale molto avanzato, chiamato TSO500, che studia oltre 500 geni – illustra Giovanni Savarese direttore della Genetica del Centro Ames e coordinatore dello studio -. Il nostro centro è uno dei pochi in Italia a utilizzarlo sistematicamente. Questo ci consente di individuare terapie mirate e, in alcuni casi, sperimentali, migliorando così le possibilità di cura. Queste alterazioni, presenti nei soggetti diabetici, sembrano rendere il tumore più aggressivo e difficile da trattare”. Il gene cdkn1b codifica una proteina che serve da freno alla divisione cellulare: quando è alterato, le cellule tumorali possono proliferare più velocemente. Tcf7l2, invece, è un fattore di trascrizione del pathway Wnt, fondamentale nello sviluppo embrionale e nel metabolismo del glucosio, ed è spesso coinvolto in oncogenesi (Il pathway Wnt è una via di segnalazione cellulare e la sua attivazione porta a cambiamenti nell’espressione genica e nel comportamento cellulare, influenzando processi come la divisione cellulare, la migrazione e la sopravvivenza, ndr). “La mutazione influisce sulla biologia del tumore, rendendolo più aggressivo e refrattario alle terapie”, spiegano Savarese e Raffaella Ruggiero, altra autrice dello studio.
Nel gruppo di pazienti con queste mutazioni, l’analisi statistica ha evidenziato un aumento significativo del rischio di mortalità: tra loro la sopravvivenza media si dimezza rispetto ai pazienti senza queste varianti, anche tenendo conto di fattori come età e genere. Questi risultati rappresentano un passo importante verso la medicina di precisione. Come sottolinea Annamaria Colao, vicepresidente del Consiglio superiore di sanità e presidente della Società italiana di endocrinologia, “identificare varianti genetiche comuni tra diabete e cancro rafforza l’idea di traiettorie molecolari specifiche: comprenderle diventa essenziale non solo per curare, ma anche per prevenire”. Anche Lucia Altucci, professore di Oncologia molecolare all’Università della Campania ‘Luigi Vanvitelli’ e membro del board europeo per le terapie innovative non ha dubbi sulle importanti prospettive aperte da questa ricerca: “Integrare il profilo genetico metabolico e oncologico significa scegliere farmaci anche in base alle comorbidità, costruendo – conclude – terapie davvero personalizzate”.