Nelle cliniche di Medici Senza Frontiere (Msf) a Gaza City e Al-Mawasi, nel sud della Striscia, il numero di casi di malnutrizione acuta ha raggiunto livelli mai registrati prima dall’organizzazione. A luglio, i casi seguiti a Gaza City sono quasi quadruplicati in meno di due mesi: da 293 a 983. Più di 700 donne in gravidanza o in allattamento e quasi 500 bambini risultano colpiti da malnutrizione severa o moderata. Di questi, 326 hanno tra i 6 e i 23 mesi. “È la prima volta che assistiamo a un numero così alto di casi di malnutrizione a Gaza. La fame a cui è costretta la popolazione è intenzionale: potrebbe finire domani se solo le autorità israeliane permettessero l’ingresso di cibo su larga scala”, denuncia con chiarezza Mohammed Abu Mughaisib, vicecoordinatore medico di Msf a Gaza.
Secondo Medici Senza Frontiere, l’aumento vertiginoso dei casi di malnutrizione non è un effetto collaterale della guerra, ma la diretta conseguenza di scelte politiche deliberate: il blocco dell’ingresso degli aiuti umanitari, la militarizzazione della distribuzione, il collasso della produzione alimentare locale. Il sistema alimentare è al collasso, i mercati sono praticamente vuoti e il poco cibo disponibile è inaccessibile a gran parte della popolazione. I numeri parlano da soli: prima dell’ottobre 2023, entravano a Gaza circa 500 camion al giorno. Dal 2 marzo a oggi, il numero totale di camion entrati ha appena raggiunto quella cifra.
Le ripercussioni sulla salute materno-infantile sono drammatiche. “A causa della malnutrizione diffusa tra le donne incinte e dell’assenza di condizioni igieniche minime, molti bambini nascono prematuri. Nella nostra unità neonatale abbiamo 4 o 5 neonati per incubatrice – racconta Joanne Perry, medico Msf a Gaza City -. È la mia terza missione a Gaza e non ho mai visto nulla di simile. Le madri mi chiedono cibo per i propri figli. Donne al sesto mese di gravidanza pesano meno di 40 chili. La situazione ha superato ogni livello di criticità”, aggiunge.
Il costo del cibo è schizzato alle stelle: secondo il World Food Programme, un chilo di zucchero costa in media 76 dollari, uno di patate o farina quasi 30. Pane, verdure fresche e proteine sono ormai un ricordo. “Molte famiglie sopravvivono con un solo pasto al giorno, spesso solo riso o pasta. I genitori rinunciano a mangiare per nutrire i figli. Le donne malnutrite danno i loro alimenti terapeutici ai bambini. Da madre, non posso biasimarle: farei lo stesso”, spiega Nour Nijim, responsabile del team infermieristico di Msf. Ma la crisi non si ferma ai pazienti diagnosticati con malnutrizione. “Molti feriti ci chiedono cibo al posto delle medicine. Le loro ferite non si rimarginano per mancanza di proteine, le infezioni durano settimane. Vediamo dimagrimenti rapidi anche nei pazienti in fase di recupero”, raccontano gli operatori.
Secondo i team di Msf, ciò che si osserva nelle cliniche è solo la punta dell’iceberg. “Questa crisi va ben oltre i casi clinici di malnutrizione che possiamo diagnosticare: riguarda un’intera popolazione costretta alla fame e alla sopravvivenza, giorno dopo giorno, in condizioni disumane”, concludono i medici. Eppure, la soluzione potrebbe essere a portata di mano. “Questa fame è il risultato di decisioni politiche. E può finire. Domani”, ribadisce Msf.
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