La neuroinfiammazione, spesso percepita come nemica ed associata a malattie come l’Alzheimer e il Parkinson, rivela ora un volto inaspettato e prezioso: sarebbe fondamentale per la formazione dei ricordi e per la stabilità del DNA neuronale. Da uno studio firmato da Jelena Radulovic e colleghi dell’Albert Einstein College of Medicine (New York) e pubblicato su Nature, è emerso un meccanismo affascinante e cruciale: durante la memorizzazione, specifici neuroni dell’ippocampo subiscono rotture transitorie del DNA, seguite da un ciclo di riparazione che attiva processi infiammatori, necessari per consolidare ricordi duraturi e preservare la stabilità genica.
Secondo Elizabeth Wood, giovane ricercatrice premiata con l’ ‘Excellence in Neuroinflammation Award’ promosso dalla Fondazione Francesco della Valle, questo “processo di rompi‑e‑ripara del DNA” non solo permette la memorizzazione, ma protegge anche dai danni genetici associati all’invecchiamento precoce e alle patologie neurodegenerative. “Bloccare la neuroinfiammazione rischia di compromettere la memoria a lungo termine”, ammonisce Wood, mettendo in guardia contro soluzioni terapeutiche che puntano esclusivamente a spegnere l’infiammazione.
Vincenzo Di Marzo, presidente del comitato scientifico della Fondazione e direttore presso l’ICB‑CNR, commenta: “Molte ricerche si concentrano sul lato oscuro della neuroinfiammazione. Questo studio ce ne fa scoprire uno ‘buono’, capace di proteggere i nostri ricordi”. Le implicazioni cliniche sono di grande rilievo: anziché sopprimere l’infiammazione, le future strategie terapeutiche potrebbero mirare a regolarla, preservandone gli aspetti fisiologici essenziali per la memoria e la riparazione del DNA neuronale.
Queste nuove evidenze scientifiche saranno discusse nel dettaglio dalla Fondazione Francesco della Valle in occasione del convegno sulla neuroinfiammazione previsto in Italia per ottobre.
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