Rimasti senza medico di famiglia, ricevono una comunicazione da parte della Regione Lombardia che li invita a scegliere un nuovo medico attraverso la piattaforma regionale. Peccato, però, che in quelle zone non risultino dottori disponibili. È accaduto ai cittadini residenti nei Municipi 7 e 8 del Comune di Milano che, di fatto, sono rimasti senza medico. A renderlo noto, nei giorni scorsi, è stato il gruppo del Movimento 5 Stelle in Consiglio regionale che, attraverso la consigliera Paola Pizzighini, ha depositato un’interrogazione a risposta scritta per conoscere quali misure urgenti intende adottare la Regione per tamponare l’emergenza e assicurare il diritto alla tutela della salute a migliaia di pazienti residenti nei Municipi in questione. Una notizia che non sorprende chi, come la Simg – la Società Italiana dei Medici di Medicina Generale e delle Cure Primarie – la carenza di medici di famiglia la denuncia da anni e la preannuncia da almeno un decennio.
“Gli ultimi numeri che abbiamo a disposizione risalgono al 2023, ma da allora ad oggi, la situazione non può che essere peggiorata – spiega Stefano Celotto membro della Giunta Esecutiva Nazionale della Simg, in un’intervista a Sanità Informazione -. La mancanza di medici di famiglia è, infatti, un fenomeno tuttora in progressione, il picco non è stato ancora raggiunto: mancano all’appello almeno 5.500 medici di medicina generale e oltre il 50% di quelli attualmente operativi supera il massimale dei 1.500 assistiti, a scapito della qualità dell’assistenza offerta ai cittadini”. La situazione riguarda tutta l’Italia in maniera abbastanza omogenea, anche se ci sono delle Regioni che se la passano peggio di altre, soprattutto Lombardia, Veneto e Friuli-Venezia Giulia, ed altre che se la passano meglio, come il Molise, la Basilicata e la Sicilia.
“Tra le Regioni che maggiormente soffrono la carenza di medici di famiglia c’è chi è riuscito a trovare delle soluzioni tampone. In Friuli-Venezia Giulia, ad esempio, grazie all’accordo con i sindacati di categoria, sono stati creati degli ambulatori, gestiti da più medici a turno, a cui i cittadini rimasti senza medico possono rivolgersi in caso di necessità. Chiaramente questa non può essere un’azione risolutiva, poiché non garantisce una continuità della presa in carico, ma è senza dubbio una strategia efficacie per rimediare momentaneamente ad una situazione critica, nell’attesa che si opti per una soluzione più strutturale e duratura”, spiega Celotto. Che in alcune Regioni del Sud Italia le cose vadano meglio lo dimostrano i numeri: “In Molise, Basilicata e Sicilia la percentuale dei medici di famiglia che supera il massimale di 1.500 assistiti è di gran lunga inferiore alla media nazionale che oltrepassa, anche se di poco, i 50 punti percentuali. In Sicilia, ad esempio, l’erogazione delle borse di specializzazione in medicina generale è stata adeguata alle prospettive di pensionamento. Questa Regione, essendo a Statuto speciale, ha potuto contare su una maggiore autonomia decisionale”, sottolinea il componente Simg.
Nel resto dell’Italia, infatti, è stato proprio la mancanza di adeguamento tra il numero di borse di formazione specifica in medicina generale e quello di pensionati a creare il blocco del turnover. Ma non solo. “Accade pure che non si riescano ad assegnare tutte le borse messe a disposizione per una carenza di richieste. Questo perché la professione del medico di medicina generale ha perso la sua attrattività perché poco gratificante, anche da punto di vista economico e di equilibrio tra vita personale e professionale, ed anche perché sempre più oberata di faccende burocratiche che non sarebbero di sua diretta competenza. Questa categoria professionale è così poco tutelata e gratificata che anche chi si specializza e trova una collocazione lavorativa, non di rado, fa un passo indietro, e si dedica ad un’altra specializzazione, in settori in cui i medici sentono di poter essere meglio accolti e tutelati”, spiega Celotto. Altre motivazioni possono essere ricercate negli anni che precedono il momento della specializzazione: “Durante la formazione universitaria di base è rarissimo trovare insegnamenti dedicati alla medicina generale e che, quindi, come accade per altre specialità, possano appassionare lo studente fin dalla formazione accademica. Da questo punto di vista l’equiparazione della formazione in Medicina Generale alle altre specialità e la creazione di un Dipartimento universitario e Settore Scientifico Disciplinare dedicato sarebbe fondamentale”, racconta ancora il medico di medicina generale.
E quali sono le soluzioni possibili per cambiare lo stato dell’arte? “La carenza non può essere risolta in modo immediato. Va aumentata l’attrattività della medicina generale, in modo che i giovani tornino a scegliere questa professione. E questo significa anche riorganizzare il sistema e prevedere maggiori tutele e gratifiche anche a livello contrattuale”, suggerisce Celotto. È chiaro, però, che pur riempendo tutti i posti attualmente a disposizione per le specializzazioni in medicina generale, ci vorrà qualche anno prima che le nuove leve siano formate e pronte a lavorare sul campo. E nel frattempo come si può tutelare la salute dei cittadini che man mano che i medici continuano ad andare (giustamente) in pensione rimangono privi di assistenza? “È necessario distinguere le realtà di città da quelle di periferia. Nel primo caso degli studi in cui cooperino più medici di medicina generale, affiancati da personale di segreteria per smaltire le richieste burocratiche e da altri professionisti sanitari, dagli infermieri agli psicologi, che rispondano a richieste dei pazienti di non esclusiva competenza medica, potrebbe garantire l’assistenza a quei cittadini oggi rimasti senza un medico di famiglia di riferimento – spiega Celotto -. Tuttavia, lo stesso modello non è applicabile in zone periferiche o in paesi di montagna dove ci sono comuni con meno di mille abitanti e la distanza tra l’uno e l’altro richiede una percorrenza di medio-lungo raggio. In questi contesti, la soluzione più immediata è mettere a disposizione quantomeno un’assistenza telefonica attiva 12 o 24 ore al giorno e prevedere la presenza fisica del medico due o tre giorni alla settimana, in modo che possa alternarsi su più territori oltre ad effettuare valutazioni a distanza, attraverso strumenti di telemedicina, laddove possibile. Inoltre, sarebbe auspicabile creare un ulteriore incentivo, come ad esempio degli sgravi fiscali ad hoc, per i medici che si rendano disponibili a lavorare nelle periferie”.
Tuttavia, rimediare alla sola carenza dei medici di medicina generale non risolverebbe i problemi della Sanità italiana, sofferente per una trasversale mancanza di personale. “Deteniamo due tristi primati in Europa: siamo tra i Paesi con il più basso numero di infermieri per cittadino, carenza che si percepisce soprattutto in ambito territoriale, ed anche la Nazione con il rapporto medici ospedalieri/territoriali più sbilanciato verso i primi. Sul territorio, per garantire un’assistenza che risponda ai bisogni di salute della popolazione, sempre più anziana e affetta da più patologie croniche, non basta incrementare il numero di medici di medicina generale. Servono specialisti, infermieri, fisioterapisti, psicologi, assistenti sociali e tutte le altre figure professionali che costellano il mondo della salute”, conclude Celotto.
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