Nutri e Previeni 15 Maggio 2025 12:45

Vitamina D: “Ad ognuno il suo dosaggio”

La necessità di dosaggi di vitamina D personalizzati al centro di un documento di consenso elaborato da 31 esperti afferenti a 20 università italiane e promosso dall’Istituto Nazionale per la Ricerca Cardiovascolare
Vitamina D: “Ad ognuno il suo dosaggio”

Malattie cardiovascolari, ipertensione arteriosa, aterosclerosi, infarto miocardico e ictus potrebbero essere dietro l’angolo per chi ha una carenza di vitamina D. Per questo, è bene sopperire a tale mancanza in maniera adeguata e sotto sorveglianza medica: ogni paziente ha le sue necessità e non esiste un approccio uguale per tutti. È questo il messaggio lanciato attraverso un documento di consenso elaborato da 31  esperti afferenti a 20 università italiane e promosso dall’Istituto Nazionale per la Ricerca Cardiovascolare (Inrc). Il documento è stato pubblicato sulla rivista Nutrients. La vitamina D svolge diverse funzioni nell’organismo. Viene assunta attraverso il cibo, ma soprattutto tramite  l’esposizione solare. “Le evidenze che collegano bassi livelli di vitamina D a un aumentato rischio cardiovascolare erano già disponibili, ma frammentarie. L’ipovitaminosi D va considerata un nuovo fattore di rischio modificabile, come già accade per altri biomarcatori”, spiega la prima firmataria del documento Anna Vittoria Mattioli, professoressa ordinaria all’Università di Bologna. Il testo sottolinea che la vitamina D è un ormone con funzioni complesse.

L’utilità della vitamina D

“La vitamina D è sempre più riconosciuta per il suo ruolo nella salute cardiovascolare al di là dei suoi effetti ben consolidati sul metabolismo osseo – scrivono i ricercatori nell’introduzione della ricerca -. Questa revisione sintetizza i risultati di studi osservazionali, studi interventistici e meta-analisi per chiarire i meccanismi attraverso i quali la vitamina D influisce sulla salute cardiovascolare, compresa la sua influenza sulla funzione vascolare, l’infiammazione e le vie metaboliche. Inoltre, questa revisione sottolinea l’importanza di un approccio personalizzato all’integrazione di vitamina D, integrando i profili di rischio cardiovascolare individuali, i livelli basali di vitamina D e le condizioni di comorbilità, come l’ipertensione e il diabete. Sebbene le prove attuali supportino l’associazione tra bassi livelli di vitamina D e aumento della mortalità cardiovascolare, questo lavoro apporta nuove intuizioni proponendo strategie su misura per l’integrazione, in particolare per i sottogruppi ad alto rischio. Vengono inoltre discusse raccomandazioni pratiche per l’implementazione di queste strategie nella pratica clinica, fornendo un quadro per ottimizzare i risultati cardiovascolari attraverso la gestione individualizzata della vitamina D”.

I dosaggi di vitamina D non sono uguali per tutti

“Abbiamo voluto andare oltre l’osso: la vitamina D è un modulatore sistemico e come tale deve essere valutata, dosata e utilizzata secondo logiche terapeutiche – afferma il presidente Inrc, Francesco Fedele -. Non possiamo limitarci a somministrare  dosaggi fissi a tutti”. Esattamente come avviene per altre patologie, aggiunge  Mattioli, “bisogna misurare i livelli di vitamina D del paziente, definire l’obiettivo della terapia in caso di carenza, adattare il trattamento in base alla risposta e monitorare nel tempo i  risultati”. Queste indicazioni saranno subito testate in un nuovo studio clinico che coinvolgerà pazienti con insufficienza cardiaca e che verrà avviato a breve.  “Il mantenimento di livelli adeguati di vitamina D sembra supportare la salute cardiovascolare, con prove emergenti che suggeriscono che potrebbe essere utile come fattore di rischio modificabile per le malattie cardiovascolari – scrivono gli autori nelle conclusioni della ricerca -. Questo articolo attribuisce importanza e focalizza il valore di un approccio personalizzato all’integrazione di vitamina D, che adatta il trattamento ai livelli di base, all’età, allo stile di vita e alle comorbidità uniche del paziente. Una strategia così mirata ha il potenziale per ottimizzare i risultati cardiovascolari in modo più efficace rispetto a un approccio uniforme all’integrazione”, concludono gli scienziati.

 

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