Il ‘superlavoro’, ovvero dedicare troppe ore alla vita professionale a discapito di quella familiare e sociale, aumenta il rischio di malattie cardiovascolari, di disturbi metabolici e problemi di salute mentale. Ma questi rischi non sono una novità, sono già noti da tempo. Ciò che è tuttora poco chiaro è quali siano i cambiamenti anatomici che il superlavoro provoca a livello cerebrale. Per scoprirlo, un gruppo di ricercatori, affiliati a diverse università coreane, ha condotto un’analisi attingendo ai dati dello studio di coorte Grocs (Gachon Regional Occupational Cohort Study) e alle risonanze magnetiche effettuate per un progetto di ricerca sugli effetti delle condizioni di lavoro sulla struttura del cervello.
La ricerca, pubblicata sulla rivista ‘Occupational & Environmental Medicine‘, mette in evidenza come le lunghe ore di lavoro possano alterare la struttura del cervello, in particolare le aree associate alla regolazione emotiva e alla funzione esecutiva, come la memoria di lavoro e la risoluzione dei problemi. Ai partecipanti al Grocs è stato chiesto di sottoporsi a una risonanza magnetica aggiuntiva e l’analisi finale ha incluso 110 persone, escludendo quelle con dati mancanti o scarsa qualità delle immagini. La maggior parte erano medici: 32 lavoravano per un numero di ore settimanali in eccesso (28%), 78 invece rispettavano un orario standard. Quello che è emerso è che chi lavorava molte ore a settimana era significativamente più giovane, aveva lavorato meno e aveva un livello di istruzione più elevato rispetto chi faceva orari standard.
Le differenze nel volume del cervello sono state valutate utilizzando con una tecnica di neuroimaging che identifica e confronta le differenze regionali nei livelli di materia grigia. L’analisi comparativa dei risultati ha mostrato che le persone che lavoravano 52 o più ore a settimana presentavano cambiamenti significativi nelle regioni del cervello associate a funzione esecutiva e regolazione emotiva, a differenza dei partecipanti che lavoravano le ore standard. Ad esempio, è stato rilevato un aumento del 19% del volume del giro frontale mediale tra coloro che lavoravano molte ore rispetto a coloro che lavoravano con orari standard. Questa parte del cervello, spiegano gli esperti, ha un ruolo fondamentale in diverse funzioni cognitive, in particolare nel lobo frontale: è coinvolta nell’attenzione, nella memoria di lavoro e nell’elaborazione del linguaggio. Sono stati evidenziati poi aumenti massimi in 17 regioni, tra cui il giro frontale medio, il giro frontale superiore – coinvolto nell’attenzione, nella pianificazione e nel processo decisionale – e l’insula, che svolge un ruolo chiave nell’integrazione del feedback sensoriale, motorio e autonomo proveniente dal corpo ed è coinvolta nell’elaborazione delle emozioni, nella consapevolezza di sé e nella comprensione del contesto sociale.
Si tratta di uno studio osservazionale di piccole dimensioni e, in quanto tale, puntualizzano gli autori, “non è possibile trarre conclusioni definitive su causa ed effetto. I ricercatori riconoscono che, in assenza di dati a lungo termine, non è chiaro se questi cambiamenti strutturali siano una conseguenza del superlavoro o un fattore predisponente”. Ma sottolineano che, “sebbene i risultati debbano essere interpretati con cautela, rappresentano un primo passo significativo per comprendere la relazione tra superlavoro e salute del cervello. In particolare, l’aumento del volume cerebrale osservato potrebbe riflettere risposte neuroadattive allo stress occupazionale cronico. I cambiamenti rilevati potrebbero fornire una base biologica per le difficoltà cognitive ed emotive spesso segnalate nelle persone sottoposte a sovraccarichi di lavoro. Sono necessari futuri studi di neuroimaging longitudinali e multimodali per confermare questi risultati e chiarire i meccanismi sottostanti”. Resta intanto un faro acceso sull’importanza di “affrontare il superlavoro come un problema di salute” e sulla “necessità di politiche sul posto di lavoro che riducano al minimo le ore di lavoro in eccesso”.
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