“La terapia del dolore accompagna i pazienti affetti da patologia oncologica per tutta la storia naturale della malattia. L’80% di loro avrà dolore, nel corso della patologia neoplastica, che è spesso il sintomo di esordio che porta alla diagnosi, soprattutto per tutte quelle malattie che non hanno possibilità di screening e quindi di diagnosi precoce”. A parlare è Flaminia Coluzzi, responsabile Centro Terapia del Dolore Onco-Ematologia Ospedale Sant’Andrea di Roma e docente presso il Dipartimento di Scienze e Biotecnologie Medico Chirurgiche dell’Università La Sapienza di Roma a ridosso della Giornata nazionale del malato oncologico in occasione della Giornata nazionale del Malato Oncologico.
La terapia del dolore ha un ruolo cruciale di fronte agli esiti dolorosi di una malattia oncologica. Grazie ai recenti progressi della medicina si ha un numero crescente di pazienti stabilizzati o sopravvissuti, cosiddetti “cancer survivors”. Tuttavia alcuni di loro soffrono di sindromi dolorose croniche che sono l’esito dei trattamenti ricevuti. Sempre più spesso accedono negli ambulatori pazienti con dolore neuropatico conseguente a chemioterapie, radioterapia ed interventi chirurgici oncologici, come toracotomie o mastectomie. “Denominatore comune di tali sindromi dolorose è un’alterazione del sistema nervoso, che modifica la percezione degli stimoli provenienti dalla periferia e diretti verso il cervello”, spiega Coluzzi.
“Il terapista del dolore prende in carico il paziente oncologico fin dall’inizio”, evidenzia l’esperta. “Accade che una persona si rivolga alle strutture ospedaliere per un dolore che non riesce adeguatamente a gestire con i comuni analgesici e persiste oltre le aspettative; in questi casi la gestione del dolore si affianca quindi al percorso diagnostico e al successivo iter terapeutico. I pazienti – continua – lamentano alterazioni della sensibilità descritte come punture di spillo, bruciore, scosse elettriche, formicolii, anche in assenza di stimoli effettivamente presenti. Ciò compromette fortemente la qualità di vita e si accompagna ad alterazioni dell’umore”.
“Queste forme di dolore sono chiaramente patologiche, in quanto non hanno alcuna finalità protettiva per l’organismo e sono causate da modificazioni funzionali e strutturali del sistema nervoso centrale, alimentate dal rilascio di citochine infiammatorie che conducono alla neuroinfiammazione e amplificano la percezione del dolore”, dice Coluzzi. “Benché il dolore venga condotto attraverso la comunicazione tra neuroni, negli ultimi anni si è reso evidente il ruolo chiave delle cellule non-neuronali del sistema nervoso centrale, che ne costituiscono l’immunità innata, le quali – continua – mediano processi neuroinfiammatori. La neuroinfiammazione, che ha fisiologicamente un ruolo protettivo per il mantenimento dell’omeostasi del sistema nervoso centrale, diviene al persistere degli stimoli, un potente fuoco che alimenta e potenzia le vie del dolore”.
“La terapia del dolore ha fatto grandi progressi negli ultimi anni. Nel paziente oncologico possiamo oggi proporre diverse strategie terapeutiche che tengano conto dello specifico tipo di dolore che accompagna la malattia”, sottolinea Coluzzi. “L’approccio multidisciplinare coinvolge i terapisti del dolore, i radioterapisti, i fisiatri, gli psico-oncologi, i palliativisti, tutte figure che si affiancano al lavoro degli oncologi nelle diverse fasi della malattia. Il controllo della neuroinfiammazione si integra con i farmaci analgesici propriamente detti, gli adiuvanti, le tecniche interventistiche e quant’altro restituisca al paziente una buona qualità di vita. E’ per questo – conclude l’esperta – che riteniamo essenziale che i pazienti ci vengano inviati precocemente. Oggi in Italia, i centri di Terapia del Dolore sono presenti in maniera capillare e rappresentano un grande alleato per i pazienti durante tutta la storia naturale della malattia oncologica”.
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