42 abstract, 6 presentazioni orali, 12 abstract. È questo il “ruolino di marcia” della presenza di Novartis al Congresso annuale della European Hematology Association (EHA), a Milano dal 13 al 16 giugno.
Numeri che fotografano una pipeline robusta, che poggia su tre asset chiave, di cui la pharma svizzera ha presentato gli ultimi aggiornamenti degli studi: iptacopan (Fabhalta), asciminib (Scemblix) e ianalumab (VAY736). Tre farmaci progettati per tre patologie contraddistinte da importanti unmet need: l’emoglobinuria parossistica notturna (EPN), la leucemia mieloide cronica (LMC) e la trombocitopenia immune (PTI).
A illustrare alla stampa le novità della pipeline Dushen Chetty (Global Head of Oncology, Development) e Ruchira Glaser (Global Head of Cardiovascular, Renal and Metabolic, Development).
Iptacopan efficace e sicuro anche nei pazienti EPN con livelli più alti di emoglobina. Lo studio APPULSE-PNH
I nuovi dati dello studio di Fase IIIB APPULSE-PNH mostrano che il passaggio al trattamento orale con iptacopan nei pazienti precedentemente in terapia con inibitori di C5 (eculizumab o ravulizumab) determina un incremento statisticamente significativo e clinicamente rilevante dei livelli di emoglobina (Hb), pari in media a 2,01 g/dL dopo 24 settimane di trattamento.
Lo studio ha arruolato pazienti adulti con livelli basali di emoglobina uguali o superiori a 10 g/dL — una popolazione clinica distinta rispetto ai precedenti studi registrativi APPLY-PNH e APPOINT-PNH — confermando così l’efficacia del farmaco anche in soggetti con anemia meno severa. Al termine delle 24 settimane, oltre il 92% dei pazienti ha raggiunto valori di emoglobina pari o superiore a 12 g/dL, considerati normali o quasi normali.
Nessun paziente ha necessitato di trasfusioni durante il periodo di osservazione e non si sono verificati episodi di emolisi, né eventi vascolari maggiori. Particolarmente rilevanti anche i dati sulla fatigue: i pazienti hanno riportato un miglioramento medio del punteggio FACIT-Fatigue di 4,88 punti a 84 giorni e di 4,29 punti a 168 giorni; valori sovrapponibili a quelli osservati nella popolazione generale.
Lo studio APPULSE-PNH ha coinvolto 52 pazienti in 24 settimane di trattamento in monoterapia orale con iptacopan 200 mg due volte al giorno, tutti precedentemente in terapia stabile con anti-C5 da almeno sei mesi e senza necessità di trasfusioni nel semestre antecedente l’arruolamento.
Come agisce iptacopan
Dal punto di vista del meccanismo d’azione iptacopan agisce bloccando la via alternativa del complemento tramite inibizione del Fattore B, permettendo un controllo sia dell’emolisi intravascolare che extravascolare, come emerge dal mantenimento dei livelli di lattato deidrogenasi entro un valore 1,5 volte più basso del limite superiore di normalità e dalla riduzione del numero assoluto di reticolociti (globuli rossi “giovani,” appena prodotti dal midollo osseo). I dati di sicurezza mostrati nello studio APPULSE-PNH sono coerenti con quelli emersi nei trial precedenti. Non sono state registrate nuove segnalazioni di safety.
La “carta d’identità” di iptacopan
Ad oggi iptacopan rappresenta la prima e unica opzione orale approvata sia da FDA che da EMA per il trattamento di adulti con l’emoglobinuria parossistica notturna, indipendentemente dalla storia terapeutica pregressa.
Leucemia Mieloide Cronica: asciminib centra l’endpoint primario in prima linea nello studio ASC4START
Il profilo clinico di asciminib (Scemblix) nel trattamento della leucemia mieloide cronica in fase cronica si amplia grazie ai nuovi dati dello studio ASC4START, che confermano la superiorità del farmaco rispetto a nilotinib nell’impiego diprima linea, sia in termini di tollerabilità che di efficacia precoce.
Il trial di Fase IIIb ha raggiunto l’endpoint primario, dimostrando una riduzione del 55% del rischio di sospensione del trattamento per eventi avversi (TTDAE) nei pazienti trattati con asciminib rispetto a nilotinib (hazard ratio 0,45; 95% CI: 0,25-0,81; p=0,004).
In termini assoluti, solo il 5,6% dei pazienti in terapia con asciminib (16 su 284) ha interrotto il trattamento per eventi avversi, contro il 12,1% registrato per quelli in terapia con nilotinib (34 su 282).
Oltre al vantaggio sulla tollerabilità, lo studio ha documentato un beneficio anche sull’efficacia precoce: il 12,7% in più di pazienti trattati con asciminib ha raggiunto la risposta molecolare maggiore (MMR) già entro la settimana 12 di trattamento rispetto al gruppo nilotinib (95% CI: 6,8%-18,7%).
Inoltre lo studio ASC4START ha valutato asciminib 200 mg due volte al giorno rispetto a nilotinib in pazienti con Leucemia Mieloide Cronica di nuova diagnosi, includendo come endpoint secondari la risposta molecolare profonda (MR4 e MR4.5), il controllo molecolare (BCR::ABL1IS ≤1%), la sopravvivenza libera da eventi (EFS), il tempo al fallimento del trattamento (TTF), la sopravvivenza libera da progressione (PFS), la sopravvivenza globale (OS) e la qualità di vita (QoL). misurata tramite i questionari EORTC QLQ-C30 e QLQ-CML24. Sono inoltre previsti endpoint esplorativi per valutare l’idoneità alla sospensione terapeutica (TFR) già nei primi mesi di trattamento.
Verso una gestione più tollerabile della patologia
Asciminib è un inibitore STAMP (Specifically Targeting the ABL Myristoyl Pocket): si lega a un sito allosterico denominato myristoyl pocket, presente nel dominio ABL1 della proteina BCR-ABL1. Si tratta di un bersaglio differente rispetto a quello colpito dagli inibitori tirosin-chinasici convenzionali.
Trombocitopenia immune: dallo studio VAYHIT3 indicazioni positive per ianalumab
Ottime notizie anche per ianalumab, anticorpo monoclonale sperimentale, attualmente in sviluppo per il trattamento della trombocitopenia immune. I risultati del trial di Fase II VAYHIT3 supportano il potenziale di questo farmaco come nuova opzione terapeutica short-course in un contesto clinico caratterizzato da elevati unmet need.
Nel trial VAYHIT3 ianalumab ha dimostrato un’efficacia clinicamente rilevante e buona tollerabilità in pazienti con trombocitopenia immune refrattaria, che avevano in media fallito sei linee di trattamento precedenti. Questo dato è particolarmente significativo in un setting dove i trattamenti attuali — come corticosteroidi e agonisti del recettore della trombopoietina (TPO-RA) — richiedono spesso una somministrazione cronica, esponendo i pazienti a un rischio prolungato di effetti collaterali, con un forte impatto sulla qualità di vita.
Come agisce ianalumab
Ianalumab presenta un meccanismo d’azione duplice e differenziato: da un lato induce la deplezione dei linfociti B tramite citotossicità cellulare anticorpo-dipendente (ADCC); dall’altro blocca il recettore BAFF-R, interferendo con i segnali di crescita e sopravvivenza delle cellule B. Questa modalità d’azione combinata lo distingue da altre terapie anti-B cellulari attualmente disponibili e apre potenzialmente la strada a un controllo più efficace della malattia autoimmune.
Il programma di sviluppo di Ianalumab
Il programma di sviluppo di ianalumab ora prosegue con un trial di Fase III che lo valuterà come trattamento di seconda linea della trombocitopenia immune. La prima comunicazione dei dati intermedi è attesa entro la fine dell’anno.
Ianalumab, inoltre, sarà valutato anche nelle fasi iniziali di trombocitopenia immune, in monoterapia o in combinazione con gli attuali standard di cura (steroidi o TPO-RA). La valutazione sarà estesa anche ad altre patologie autoimmuni a base B-cellulare, come l’anemia emolitica autoimmune calda, la sindrome di Sjögren, il lupus eritematoso sistemico e la nefrite lupica.
Il farmaco – se i prossimi trial confermeranno quanto sin qui emerso – potrebbe rappresentare una svolta terapeutica in ambito ematologico, giacché offre la possibilità di un trattamento limitato nel tempo capace di mantenere risposte cliniche prolungate.