I casi di colera nel mondo continuano ad aumentare. A lanciare l’allarme è l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che nell’ultimo bollettino mensile diffonde dati preoccupanti: nel solo mese di maggio si sono registrati oltre 52mila nuovi casi, segnando un incremento del 35% rispetto ad aprile. Dall’inizio dell’anno il numero totale di contagi ha già superato quota 211mila, con più di 2.700 decessi. A essere maggiormente colpiti sono i Paesi con fragili sistemi sanitari e in condizioni di emergenza prolungata: in Sud Sudan, i casi sono oltre 51mila, in Afghanistan si tocca quota 46mila.
A seguire la Repubblica Democratica del Congo, dove i malati sono 27mila, Angola con 22mila, Yemen con 18mila, e Sudan con 16mila casi accertati. Il Sud Sudan è anche il Paese con il maggior numero di vite perse a causa dell’epidemia: quasi mille decessi da gennaio. L’Angola segue con oltre 680 morti, poi la Repubblica Democratica del Congo con più di 570, e infine il Sudan, dove si contano quasi 280 morti. L’OMS classifica il rischio collegato all’epidemia come “molto alto” e avverte: nonostante oggi siano 26 i Paesi colpiti, circa un miliardo di persone vive in aree considerate ad alto rischio.
A facilitare la diffusione dell’infezione sono confini facilmente attraversabili, sistemi di sorveglianza epidemiologica insufficienti, e scarsa consapevolezza nelle comunità più vulnerabili, che spesso non hanno accesso a informazioni corrette e strumenti di prevenzione. A complicare ulteriormente il quadro, spiega ancora l’OMS, è la presenza di conflitti armati in molte delle aree interessate. Le guerre ostacolano in modo drammatico l’accesso ai servizi sanitari, impedendo ai malati di ricevere cure adeguate e rendendo difficile mettere in atto le misure di contenimento. Molti Paesi, inoltre, si trovano con le risorse sanitarie esaurite, travolti da epidemie multiple e da altre emergenze sanitarie che gravano sulla tenuta dei sistemi di cura.
Sul piano globale pesa infine la mancanza di finanziamenti. Secondo l’OMS, il ritiro di alcuni dei principali donatori internazionali sta compromettendo seriamente la capacità di risposta nei Paesi a più alta incidenza. Per questo l’Organizzazione lancia un appello chiaro e deciso: sono urgenti investimenti stabili, sia nazionali che internazionali, per rafforzare le attività di prevenzione, migliorare la preparazione e garantire una risposta efficace di fronte a focolai che, da locali, rischiano di diventare globali.
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