Gli alimenti ultra-processati che mangiamo lasciano tracce sia nel sangue che nelle urine. La scoperta, ad opera di un gruppo di studiosi del National Cancer Institute americano, potrebbe consentire di condurre ricerche più affidabili sul legame tra questi alimenti e il rischio di sviluppare malattie, ma anche di promuovere cambiamenti di stili di vita verso diete più salutari. Grazie a quest’analisi, pubblicata sulla rivista Plos Medicine, è stato possibile identificare per la prima volta un gruppo di molecole presenti nel sangue e nell’urina strettamente correlate al consumo di cibi processati.
“Gli alimenti ultra-elaborati rappresentano il maggior introito calorico negli Stati Uniti, ma l’impatto sulla salute umana rimane poco chiaro”, scrivono i ricercatori nell’introduzione dello studio. Per questo, aggiungono, “abbiamo mirato ad identificare i punteggi dei polimetaboliti nel sangue e nelle urine che sono predittivi dell’assunzione di cibi ultra-processati”. Per chi conduce ricerche in questo ambito, oggi, è difficile disporre di informazioni affidabili sull’effettivo consumo di cibi ultra-processati da parte dei partecipanti alle ricerche: il più delle volte, infatti, si tratta di informazioni riferite dagli stessi volontari, che non sempre hanno piena consapevolezza delle caratteristiche degli alimenti consumati.
Nel nuovo studio, i ricercatori hanno utilizzato i dati provenienti da altre ricerche per identificare, nel sangue e nell’urina, le sostanze frutto della trasformazione degli alimenti ultra-processati (i metaboliti). Sono stati reclutati 1.082 partecipanti, di età compresa tra 50 e 74 anni, tra questi 718 sono risultati idonei alla ricerca. “La metabolomica (ovvero lo studio sistematico delle uniche impronte chimiche lasciate da specifici processi cellulari, ndr) offre un’entusiasmante opportunità non solo per migliorare i nostri metodi per misurare oggettivamente esposizioni complesse come quelle derivanti dalla dieta e dall’assunzione di alimenti ultra-processati, ma anche per comprendere i meccanismi con cui la dieta potrebbe avere un impatto sulla salute”, spiega la coordinatrice dello studio Erikka Loftfield, del National Cancer Institute.
I punteggi dei poli-metaboliti identificati potrebbero servire come misure oggettive dell’assunzione di cibi ultra-processati in studi su grandi popolazioni per integrare o ridurre la dipendenza da dati dietetici auto-riferiti. Ancora, gli stessi valori potrebbero predire l’assunzione degli alimenti ultra-lavorati, fornendo nuove informazioni sul ruolo di questi prodotti nella salute umana. Tra i limiti della ricerca, la partecipazione di adulti statunitensi più anziani “la cui dieta potrebbe variare da quella di altre popolazioni” e la necessità di valutare “i punteggi dei poli-metaboliti in popolazioni con diete diversificate e un’ampia gamma di assunzione di cibi ultra-processati”, concludono gli autori della ricerca.
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