Sanità 1 Agosto 2022 14:21

Può la morte di un uomo trasformarsi in un reality show?

Lavenia (Di.Te.) su omicidio Civitanova Marche: «Il telefonino anestetizza la realtà, congela la paura e “controlla” l’emozione. È davvero preoccupante che nessuno abbia sentito il bisogno di aiutare il povero uomo»
Può la morte di un uomo trasformarsi in un reality show?

Prima l’uccisione di Alika Ogorchukwu, poi una violenta lite tra due uomini: tutto è accaduto a distanza di poche ore e nella stessa strada, in Corso Umberto I a Civitanova Marche. In entrambi i casi chi ha assistito alla scena ha preferito accendere la fotocamera del proprio smartphone per immortalare le violenze – la prima talmente brutale da sfociare in un omicidio – piuttosto che tentare di salvare chi tra i litiganti stava avendo la peggio.

Paura o indifferenza?

È certamente lecito aver paura di provare a fermare un uomo che, in preda ad una sorta di raptus, colpisce un altro uomo con una stampella fino a lasciarlo esanime. Così come è altrettanto comprensibile avere paura di buttarsi tra due persone che, seppur a mani nude, se ne stanno dando di santa ragione. Ma se il timore che ci spinge a non intervenire è quello di poter rimanere feriti, se non addirittura di poter ricevere un colpo letale, non si dovrebbe temere ugualmente la reazione dell’aggressore in questione che nello scoprirci a filmare le sue “gesta” potrebbe reagire con la medesima brutalità?

La spettacolarizzazione delle morte

Per l’Associazione Nazionale su GAP, Cyberbullismo e patologie generate dal Web (Di.Te.) «la scelta di documentare un’aggressione deve sì indignare, ma anche farci riflettere sull’uso che costantemente facciamo dello smartphone. Prendere in mano il telefonino e iniziare una ripresa video, in alcuni casi anche in diretta sui social, è diventato normale. Ma è giusto quando si vuole denunciare un’ingiustizia o una violenza. Diventa aberrante quando si sceglie di filmare l’agonia e la morte di un uomo, chiudendo gli occhi e il cuore sulla sofferenza di una persona».

Il telefonino anestetizza la realtà e congela la paura

A poche ore dalle violenze consumatesi a Civitanova Marche non sono mancate le polemiche e, soprattutto, le critiche nei confronti degli inerti spettatori che, anziché chiamare la Polizia, o ancor meglio provare a bloccare l’omicida, avrebbero scelto di essere pubblico indifferente. «È urgente una riflessione di tutti – commenta Giuseppe Lavenia, psicologo e psicoterapeuta, presidente dell’Associazione Nazionale Di.Te. -. È del tutto evidente che siamo arrivati a un livello di regressione generale. Il telefonino è diventato uno strumento non solo per condividere, ma soprattutto per anestetizzare la realtà, congelare la paura e “controllare” l’emozione».

«Lo vivo solo se lo condivido»

Lo smartphone e i social sono utili mezzi quando creano azione e relazione. Per l’Associazione Nazionale su GAP, Cyberbullismo e patologie generate dal Web «diventano strumenti di morte quando smettiamo di essere empatici e non riusciamo a metterci nei panni dell’altro, anche se l’altro è un africano, povero e spesso guardato con fastidio. Chi salva un uomo, ha già salvato il mondo e ha salvato anche sé stesso». Scegliere di stare a guardare e non provare a fermare il massacro di un uomo è tanto triste quanto tragico. «È davvero preoccupante che nessuno abbia sentito il bisogno di aiutare il povero uomo – dice Lavenia -. Il pensiero dominante diventa sempre di più: “Lo vivo solo se lo condivido”. Un inganno – conclude lo psicoterapeuta – tanto evidente, quanto tragico e debordante».

 

 

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