Salute 12 Giugno 2025 11:46

Microbioma per medici, dal Gemelli istruzioni su attuali ricerche e future applicazioni

Il punto dei risultati delle ricerche e delle possibili future applicazioni in clinica del microbioma in un articolo pubblicato sulla rivista Cell. Serve più comunicazione tra la ricerca di base e quella clinica per accelerare l’arrivo al letto del paziente
Microbioma per medici, dal Gemelli istruzioni su attuali ricerche e future applicazioni

Un articolo “divulgativo” pubblicato su Cell, scritto da medici per medici, per far informare i clinici del fatto che una serie di preziose applicazioni diagnostico-terapeutiche basate sul microbioma potrebbero essere davvero dietro l’angolo e colmare quel gap di comunicazione tra ricercatori di base e clinici, che sta rallentando la loro implementazione. “Abbiamo pensato – spiega Gianluca Ianiro, ricercatore in Gastroenterologia all’Università Cattolica e dirigente medico UOC di Gastroenterologia Policlinico Gemelli IRCCS – che fosse arrivato il momento di fare il punto sulle possibili applicazioni cliniche del microbioma. A fronte di un’enorme mole di ricerche e di studi sul microbioma, le applicazioni cliniche restano ancora molto scarse, a volte non del tutto ortodosse, a volte ‘primordiali’”.

Il microbioma è il target perfetto per la medicina di precisione

“Ma questo cambierà presto, perché il microbioma è il target perfetto per la medicina di precisione, specifico da persona a persona e dalla composizione variabile a seconda degli eventi della vita e della dieta”, sottolinea Ianiro. Perché dunque non viene ancora applicato nella pratica clinica? “Per una serie di challenge, di ‘freni’”, spiega Serena Porcari, UOC di Gastroenterologia Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS e prima autrice del lavoro su Cell. “Il primo è biologico: individuare dei nessi causali tra composizione del microbioma e patologie – prosegue – è difficile per l’eterogeneità e la complessità del microbioma intestinale. Il secondo è metodologico: gli studi clinici sul microbioma sono complessi perché devono tener conto della dieta, dei farmaci assunti, di influenze ambientali nel loro disegno; mancano inoltre protocolli standardizzati per la sua analisi. Il terzo è di tipo logistico: mancano studi multicentrici di vasta portata perché la maggior parte delle evidenze in questo campo viene da ricerche accademiche condotte da singoli centri e con bassa numerosità del campione”.

Possibile utilizzo diagnostico e terapeutico del microbiota fra 5-10 anni

“C’è scarsa comunicazione tra clinici e scienziati di base”, sottolinea Porcari. “L’ultimo ‘freno’ è di tipo culturale: la limitata dimestichezza col microbioma della maggior parte dei medici previene l’applicazione clinica dei dati di ricerca”, aggiunge. Ma i risultati ottenuti finora, fanno comunque presagire delle prospettive sia per un utilizzo diagnostico che terapeutico del microbiota, entro i prossimi 5-10 anni (soprattutto sul fronte diagnostico). “Nel primo caso – spiega Antonio Gasbarrini, preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia e ordinario di Medicina Interna presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, direttore della UOC Medicina Interna e Gastroenterologia e del Centro Malattie dell’Apparato Digerente (CEMAD) della Fondazione Policlinico Universitario Gemelli IRCCS – il microbiota potrebbe essere utilizzato come biomarcatore di malattia precoce; in questo ambito, gli studi più convincenti sono finora quelli sul cancro del colon“.

Le prospettive terapeutiche dell’utilizzo del microbioma

“Oppure potrebbe essere utilizzato – continua Gasbarrini – come predittore di risposta ad una terapia (ad esempio, all’immunoterapia in oncologia), o ancora il microbiota può essere utilizzato per la diagnosi differenziale tra colite ulcerosa e malattia di Crohn. Sul versante terapeutico, abbiamo diverse direzioni. Quella del trapianto fecale che si sta raffinando sempre di più e si sta muovendo verso i consorzi microbici (una sorta di cocktail di microbi selezionati, già impiegati per il trattamento delle coliti da Costridium difficile); un’altra prospettiva promettente è quella dei batteriofagi, virus che colonizzano i batteri patogeni e li distruggono (i fagi ‘litici’); infine c’è quella dell’ingegnerizzazione dei probiotici (produttori o carrier di composti benefici)”.

Soluzioni per accelerare l’utilizzo del microbioma

“Come accelerare dunque l’utilizzo del microbioma nella pratica clinica? “Attraverso diverse possibili azioni – sostiene Giovanni Cammarota, ordinario di Gastroenterologia all’Università Cattolica e direttore della UOC di Gastroenterologia Policlinico Universitario A. Gemelli IRCC- : standardizzare la ricerca e il referto di un test del microbiota da un laboratorio all’altro; migliorare il disegno dei trial clinici; affinare il razionale dei trial (capire i meccanismi attraverso la ricerca di base e costruire i trial clinici sui risultati di queste ricerche); mettere in comunicazione il mondo della ricerca con quello dei clinici, fare formazione e promuovere l’interdisciplinarietà”.

Dallo screening del cancro al colon ai test per prevedere l’efficacia dell’immunoterapia

Cosa c’è dietro l’angolo? “La prima cosa che arriverà in clinica – rivela Ianiro – sarà un test sullo screening del cancro del colon che potrà guidare verso l’indicazione alla colonscopia per le persone che, oltre ad un sangue occulto nelle feci positivo (FIT, Fecal Immunochemical Test) presentino una particolare tipologia di microbiota. Un altro test dietro l’angolo è quello per prevedere la risposta all’immunoterapia in un paziente oncologico (i dati più solidi acquisiti finora sono sul tumore del polmone e sul melanoma). Sul fronte della terapia, oltre alle indicazioni consolidate del trapianto di microbiota per le coliti da Costridium difficile, le prossime applicazioni saranno sull’eradicazione di batteri multi-farmaco resistenti come la Klebsiella nelle infezioni intestinali o prima che queste facciano danni (ad esempio nei pazienti in attesa di un trapianto d’organo). La prossima frontiera consisterà nell’utilizzare il microbiota per potenziare l’azione dell’immunoterapia in campo oncologico”.

 

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