Dal melanoma al tumore del polmone, dal cancro al seno triplo negativo a quello del colon-retto e della vescica: sono sempre più numerosi i tumori per cui la somministrazione dell’immunoterapia neoadiuvante, cioè del trattamento prima dell’intervento chirurgico, mostra evidenze di maggiore efficacia. “Caricare” il sistema immunitario contro il cancro prima della rimozione chirurgica produce, infatti, significativi miglioramenti rispetto all’immunoterapia adiuvante, quella post-intervento. Questa nuova evoluzione dell’immunoterapia è al centro della seconda edizione di “I.N.N.O.VA.T.E. – International Neoadjuvant Immunotherapy Across Cancers”, al via oggi, e fino a domani, a Napoli. In occasione dell’evento, specialisti di tutto il mondo si confronteranno sulle ultime novità relative all’immunoterapia neoadiuvante, affrontando questioni critiche come la sua integrazione nella pratica clinica standard e il ruolo nello sviluppo di nuovi farmaci.
“L’immunoterapia neoadiuvante, quella cioè che si somministra prima dell’intervento chirurgico, offre molteplici benefici che migliorano l’efficacia del trattamento e la qualità della vita dei pazienti – spiega Paolo Ascierto, presidente della Fondazione Melanoma, direttore dell’Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto Pascale di Napoli e responsabile scientifico dell’evento –. In primo luogo, l’immunoterapia pre-intervento ha la capacità di potenziare la risposta immunitaria: quando gli inibitori dei checkpoint immunitari (farmaci immunoterapici che sbloccano i ‘freni’ che impediscono al sistema immunitario di attaccare il tumore) vengono somministrati in presenza del tumore primario e/o dei linfonodi, si verifica un massivo attacco del sistema immunitario verso gli antigeni tumorali e una conseguente attivazione e proliferazione delle cellule T. Questo porta a una risposta immunitaria più diversificata, efficace e duratura sia contro il tumore primario che contro le micrometastasi. Al contrario – prosegue Ascierto – l’immunoterapia adiuvante, cioè quella somministrata dopo la rimozione del tumore, può generare una risposta immunitaria meno robusta. Un ulteriore vantaggio di questa terapia potrebbe essere la conseguente riduzione del tumore, rendendo operabili masse inizialmente non resecabili e consentendo interventi chirurgici meno invasivi. Questo si traduce in una minore morbilità e nella possibilità di preservare gli organi coinvolti”.
L’immunoterapia neoadiuvante si appresta dunque a diventare uno standard di cura, dimostrando di essere molto promettente in vari tipi di cancro. “A fare da apripista è il melanoma – sottolinea Ascierto -. Per quello al terzo stadio l’immunoterapia neoadiuvante è già ora lo standard di cura. Studi clinici hanno dimostrato un notevole beneficio in termini di sopravvivenza libera da eventi (progressione tumorale o recidiva) rispetto all’approccio adiuvante”.
Al centro del convegno anche i risultati rivoluzionari dell’immunoterapia neoadiuvante in altri tumori, come nel tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC), il tipo più comune di cancro polmonare. La combinazione di chemioterapia neoadiuvante e dell’immunoterapico nivolumab ha già ricevuto l’approvazione delle agenzie regolatorie nei casi di NSCLC resecabile. Numerosi studi clinici hanno evidenziato significativi miglioramenti nei tassi di risposta patologica completa (scomparsa del tumore e di sopravvivenza libera da progressione). Anche per alcune forme di tumore del colon-retto, l’immunoterapia neoadiuvante si sta rivelando molto promettente.
Nello studio di fase 2 NICHE-2, i pazienti con una forma di cancro localmente avanzata trattati con gli immunoterapici nivolumab e ipilimumab hanno mostrato una buona efficacia. Risultati recenti hanno rivelato un tasso di sopravvivenza libera da malattia del 100% a tre anni, un dato senza precedenti. Bene anche sul fronte del tumore del seno, in particolare quello triplo negativo, una delle forme di cancro al seno più aggressive, l’aggiunta dell’immunoterapico pembrolizumab alla chemioterapia neoadiuvante, seguita poi ancora da pembrolizumab dopo l’intervento chirurgico, ha aumentato i tassi di risposta e la sopravvivenza globale a cinque anni, rispetto alla sola chemioterapia. Infine, studi preliminari sul carcinoma uroteliale (vescica), che colpisce il tessuto che riveste le vie urinarie, hanno mostrato tassi di risposta incoraggianti con la sola somministrazione dell’immunoterapia pre-intervento, specialmente in tumori più piccoli. “Alla luce di così tante evidenze positive circa l’immunoterapia neoadiuvante, la ricerca si sta ora concentrando sulla comprensione dei biomarcatori che possono prevedere la risposta al trattamento pre-intervento – conclude Ascierto –. Questi includono caratteristiche legate alle cellule tumorali, al microambiente tumorale e all’ospite. Inoltre, sono in fase di studio nuove combinazioni di immunoterapie con farmaci non immunoterapici, come gli anticorpi farmaco-coniugati e le terapie mirate”.
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