Salute 18 Luglio 2025 11:55

Dislessia: “L’effetto placebo supera la riabilitazione?”

Uno studio italiano dimostra come la sola aspettativa di miglioramento, senza alcuna azione reale, possa potenziare la lettura nei bambini con dislessia evolutiva
Dislessia: “L’effetto placebo supera la riabilitazione?”

Anche semplicemente aspettarsi di ottenere un miglioramento, può indurre ad un potenziamento reale. È il caso della dislessia evolutiva: uno studio pubblicato sulla rivista Psychological Research, condotto da un gruppo di ricercatori delle Università di Padova e Bergamo, ha dimostrato come la lettura nei bambini possa beneficiare dell’effetto placebo. Per dimostrarlo, gli studiosi hanno preso l’utilizzo di occhiali “lampeggianti”, in commercio da qualche tempo, con la promessa di regolare la frequenza del passaggio della luce per aiutare chi ha difficoltà di lettura. Sebbene siano venduti con forti aspettative, mancano di solide evidenze scientifiche. E proprio per questo i ricercatori hanno voluto vederci chiaro, distinguendo l’effetto reale del dispositivo da quello psicologico indotto dalla speranza che funzioni.

I risultati della sperimentazione

Ecco cosa hanno scoperto i ricercatori italiani. “Le abilità di lettura nella condizione di occhiali spenti con aspettativa positiva, rispetto alla condizione di occhiali semplicemente spenti – spiega Sandro Franceschini, primo autore della ricerca e docente al Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova – ci hanno permesso di scoprire per la prima volta un forte effetto placebo, sia sugli errori commessi nella lettura di parole conosciute, sia sulla velocità con cui i bambini decifrano parole nuove”. Una scoperta che, sottolinea lo studioso, “risulta ancora più sorprendente se si considera che l’efficacia immediata di questo effetto placebo è risultata superiore a quella documentata in trattamenti riabilitativi tradizionali condotti per mesi”.

Il metodo di studio

Il disegno sperimentale si è basato su tre condizioni: occhiali spenti, occhiali spenti con aspettativa positiva (ovvero, con la convinzione che fossero accesi ed efficaci) e occhiali realmente accesi. I risultati sono stati sorprendenti. “I bambini con dislessia della scuola primaria – racconta Giovanna Puccio, del Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova – pur avendo indossato occhiali spenti, ma convinti del loro effetto, hanno commesso un numero significativamente inferiore di errori. La sola aspettativa che gli occhiali potessero aiutarli ha permesso loro di ottenere risultati pari a quelli di un ragazzo con dislessia frequentante la scuola media”.

L’effetto sui giovani adulti

Ma non è tutto. L’effetto è stato osservato anche in giovani adulti. “Negli studenti universitari con difficoltà di lettura – riferisce Sara Bertoni, docente al Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università di Bergamo e responsabile della ricerca – il placebo ha ridotto gli errori fino a portarli al livello di lettori normolettori. Questo ci suggerisce che una parte dei benefici che attribuiamo ai trattamenti riabilitativi per la dislessia evolutiva possa derivare dall’aspettativa positiva che il trattamento stesso genera”.

La fiducia che il bambino ripone nel suo potenziale fa la differenza

In altre parole, non è tanto l’intervento in sé a fare la differenza, quanto la fiducia riposta nel suo potenziale. È il contesto, la relazione terapeutica, il messaggio implicito di “ce la puoi fare” che attiva risorse nascoste e produce miglioramenti reali. Quanto agli occhiali “lampeggianti”, il loro effetto si è rivelato contenuto: un piccolo aumento nella velocità di decodifica delle parole nuove, ma anche un leggero incremento degli errori su parole familiari. Insomma, un bilancio poco convincente, soprattutto se si considera il costo del dispositivo. “Questi risultati – conclude Franceschini – ci dicono che è fondamentale includere il controllo dell’effetto placebo nei protocolli di valutazione dei trattamenti per la dislessia. Altrimenti rischiamo di attribuire i miglioramenti a strumenti o tecniche, quando invece è l’aspettativa stessa a generare il cambiamento”.

 

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