“Diventare anziani è un po’ come ritornare bambini”. Questa frase, spesso ripetuta per indicare come le persone in terza età abbiamo bisogno di attenzioni e cure simili a quelle prestate durante l’infanzia, oggi sembra avere un sorprendente fondamento scientifico. Stando ai risultati di uno studio internazionale pubblicato su Brain Communications, firmato da un team dell’Università di Göteborg e altri centri, i neonati hanno livelli plasmatici di tau fosforilata 217 (p‑tau217) – biomarcatore noto dell’Alzheimer – più alti persino di quelli riscontrati nei pazienti con la malattia. Tuttavia, anziché segnalare un danno neurologico, nei più piccoli questo marcato aumento è legato a un meccanismo sano e fondamentale per lo sviluppo cerebrale.
Il gruppo, guidato da Fernando Gonzalez‑Ortiz e Kaj Blennow, ha esaminato il sangue di oltre 460 persone, tra neonati sani, prematuri, adulti giovani, anziani e pazienti con Alzheimer, scoprendo che i neonati, soprattutto quelli prematuri, avevano livelli di p‑tau217 decisamente superiori a quelli di qualsiasi altro gruppo. Questi valori, però, calano nei primi mesi di vita, riportandosi su livelli tipici degli adulti giovani. Nei pazienti con Alzheimer, invece, i livelli elevati di p‑tau217 sono associati ai grovigli neurofibrillari e alla degenerazione neuronale, mentre nei neonati la proteina sembra guidare la crescita dei neuroni e la formazione di connessioni che strutturano il cervello.
“Questa osservazione è affascinante – sottolineano gli autori – perché suggerisce che il cervello dei neonati possiede meccanismi che ne consentono l’uso costruttivo di p‑tau217, proteggendoli dai danni”. Comprendere questi sistemi di difesa potrebbe aprire nuove strade terapeutiche per l’Alzheimer, ricreando o attivando queste capacità nel cervello dell’adulto. “Se riuscissimo a capire come i neonati gestiscono la proteina tau, potremmo un giorno rallentare o arrestare la malattia all’origine”, afferma Gonzalez‑Ortiz .
La p‑tau217, recentemente approvata dalla FDA per la diagnosi dell’Alzheimer, rappresenta oggi un indicatore clinico sempre più importante. Questo studio dimostra che valori elevati non sempre indicano patologia, ma, nel contesto giovanile, possono essere segno di sviluppo cerebrale sano. Con queste nuove evidenze, l’uso di p‑tau217 in ambito diagnostico dovrà essere interpretato con attenzione nella popolazione giovane. Inoltre, indagare i meccanismi di protezione naturale che i neonati possono attivare offrirà una potenziale guida per nuovi trattamenti anti‑tau.
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