Nel silenzio che spesso avvolge le malattie rare, i pazienti con ipoparatiroidismo attendono da mesi l’accesso a una terapia innovativa in grado, non solo, di controllare la malattia, ma di risolverla sostituendo l’ormone carente. L’ipoparatiroidismo è una condizione debilitante, e spesso sottovalutata, che impatta il metabolismo del calcio, compromettendo la qualità della vita per la carenza o l’inefficace funzionamento del paratormone. Da oltre un anno l’EMA ha approvato la prima e unica terapia in grado di agire sostituendo l’ormone carente alla base della patologia e non di rappresentare solo un trattamento adiuvante. Già disponibile in altri Paesi europei tramite accesso precoce, a oggi, in Italia, non è ancora accessibile, privando i pazienti di una terapia sicura ed efficace. A descrivere il problema e denunciare il grave ritardo è Gianluca Aimaretti, presidente della Società Italiana di Endocrinologia (SIE), in occasione del congresso nazionale SIE in corso a Torino.
L’ipoparatiroidismo colpisce oltre 10.000 persone in Italia e chi ne è affetto deve affrontare quotidianamente sintomi invalidanti che spesso hanno gravi ripercussioni sulla loro vita: da forti spasmi muscolari, a irrigidimento e intorpidimento degli arti, da convulsioni fino a cataratta e confusione mentale. “Ad oggi chi soffre di ipoparatiroidismo – spiega Aimaretti – può fare affidamento su opzioni terapeutiche tradizionali che spesso però non risultano sufficientemente efficaci a contrastare la malattia, e che, al contrario, pongono il paziente di fronte a ulteriori problemi, effetti collaterali e gravi complicanze croniche. Sono numerose, infatti, le persone che non riescono a ottenere un controllo adeguato della malattia con le terapie convenzionali basate sull’assunzione di calcio e vitamina D attiva. Si stima che il 16% circa dei pazienti continui a soffrire di gravi sintomi e a sperimentare gli effetti debilitanti della patologia nonostante il trattamento”.
Oltre a ciò, l’uso cronico di elevate dosi di calcio può concorrere ad aumentare il rischio di calcoli e il progressivo deterioramento della funzione renale, calcificazioni extra-scheletriche e complicanze cardiovascolari. Sono numerosi gli studi clinici che dimostrano come fino al 40% dei pazienti possa incorrere in questi problemi. Una soluzione però esiste, in grado di risolvere la malattia e non solo di tamponarne gli effetti, ma in Italia non è ancora accessibile. “Purtroppo tale accesso – dice Aimaretti – si sta rivelando problematico e i tempi lunghi per l’autorizzazione non garantiscono il diritto dei malati a una cura per cui non esiste una alternativa efficace, la cui mancata disponibilità aumenta il rischio di danni irreversibili. Ogni mese che passa senza una decisione è un danno per i pazienti, e per l’equità terapeutica”.
“L’appello e la speranza sono che presto l’AIFA, possa rispondere a questa esigenza – dice Aimaretti – e porre rimedio a tale situazione, mettendo subito la terapia a disposizione dei pazienti per i quali l’attesa non è più sostenibile”. Diego Ferone, presidente eletto SIE, conclude: “La SIE, come già fatto per altre terapie innovative, si rende disponibile a una stretta collaborazione con AIFA per garantire una prescrizione adeguata e sostenibile e a monitorare efficacia, sicurezza e uso adeguato della nuova terapia”.
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