Ricerca scientifica, accesso alle cure e agli ausili per i pazienti all’interno di un disegno coordinato su tutto il territorio nazionale, assistenza adeguata e continuativa, inclusione e impegno condiviso possono trasformare il futuro di chi convive con la FSHD la distrofia facio-scapolo-omerale. È quanto emerge dall’XI Convegno Nazionale FSHD in corso di svolgimento a Roma in occasione della Giornata mondiale dedicata. L’appuntamento è stato organizzato da FSHD Italia APS in collaborazione con UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) e il Gruppo FSHD dell’AIM (Associazione Italiana di Miologia) e ha riunito medici, ricercatori, associazioni di pazienti e rappresentanti delle Istituzioni per fare il punto sulle nuove conoscenze scientifiche, le prospettive di cura e le sfide sociali e assistenziali.
La distrofia facio-scapolo-omerale è una malattia genetica rara che provoca una progressiva atrofia muscolare. Sebbene inizi spesso dai muscoli del volto, delle spalle e delle braccia, può estendersi ad altri distretti, come addome, gambe e muscoli respiratori. Ha una prevalenza di circa 6-7 persone su 100.000 e circa il 20% delle persone affette arriva a perdere l’autonomia nella deambulazione. Nella forma più comune, la FSHD1, è causata da un’alterazione genetica che coinvolge una regione periferica del cromosoma 4; una forma più rara, chiamata FSHD2, deriva da mutazioni in geni che regolano l’espressione del DNA. Entrambe le anomalie causano la riattivazione anomala di un gene chiamato DUX4, normalmente silenziato nel corso della vita post-embrionale, danneggiando progressivamente le cellule muscolari, probabilmente in concorso con altri geni, e determinando la comparsa dei sintomi.
La diagnosi di FSHD si basa su una combinazione di valutazione clinica e di test genetici specifici. La progressione della patologia viene misurata mediante valutazioni cliniche ed esami di risonanza magnetica, che assumono anche un valore prognostico laddove rivelano, in alcuni muscoli, condizioni infiammatorie, che preludono alla sostituzione delle fibre muscolari con tessuto adiposo. I test genetici di ultima generazione sono fondamentali per distinguere tra FSHD1 e FSHD2 e confermare la diagnosi.
Attualmente non esiste una cura per la FSHD, ma esistono “contromisure” non terapeutiche per contrastarne gli effetti. Il trattamento è sintomatico e multidisciplinare: prevede la fisioterapia per mantenere la mobilità e ridurre le contratture, il supporto ortopedico, la ventilazione assistita nei casi con coinvolgimento respiratorio e l’assistenza psicologica. Il Sistema Sanitario Nazionale italiano offre un percorso di presa in carico presso Centri Malattie Rare e Centri Neuromuscolari presenti sul territorio: https://fshditalia.org/centri-clinici-aim-fshd/
Negli ultimi anni, le aziende farmaceutiche hanno aumentato notevolmente i loro investimenti nella ricerca di farmaci per la FSHD, anche grazie alla collaborazione con start-up biotecnologiche e ai progressi nel campo delle terapie geniche e delle biotecnologie avanzate. Questo fermento ha reso possibile l’avvio di numerosi studi clinici, oggi in corso anche in Italia. «Di recente abbiamo assistito a un’accelerazione straordinaria della ricerca sulla FSHD – spiega Enzo Ricci, responsabile scientifico di FSHD Italia e responsabile del Centro FSHD del Policlinico Gemelli di Roma. La collaborazione tra centri clinici e associazioni di pazienti sta creando le basi per nuovi studi clinici e per terapie mirate».
Sul fronte della ricerca terapeutica, Valeria Sansone, Direttore Clinico-Scientifico del Centro Clinico NeMO di Milano e ordinario dell’Università degli Studi di Milano, illustra i progressi dei trial clinici: «Oggi abbiamo diverse sperimentazioni in corso che mirano, in primo luogo, a bloccare la produzione della proteina DUX4, responsabile del danno muscolare, ma orientate anche a contrastare l’infiammazione e a potenziare la forza muscolare. È un momento di grande fermento». Le fa eco Anna Ambrosini, Responsabile Area Ricerca di Fondazione Telethon ETS, ricordando che: «L’impegno di Fondazione Telethon negli anni ha contribuito a consolidare una comunità scientifica dedicata alla FSHD, un passo essenziale per far crescere studi clinici solidi e ben strutturati». Emiliano Giardina, Direttore del laboratorio di Medicina Genomica – UILDM presso la Fondazione Santa Lucia, spiega i progressi nella diagnosi: «Oggi disponiamo di strumenti genetici avanzati, anche per la diagnosi prenatale e preimpianto, che possono sostenere le famiglie in scelte difficili ma consapevoli».
Mauro Monforte, Neurologo del Policlinico Gemelli di Roma, sottolinea quanto sia importante garantire l’accesso alle cure ai pazienti su tutto il territorio: «Anche con una terapia efficace, sarà fondamentale che le istituzioni e i centri clinici si preparino a renderla accessibile, assumendone l’onere e adottando i necessari strumenti organizzativi. La disponibilità del farmaco, infatti, deve essere accompagnata da una rete di strutture sanitarie in grado di somministrarlo in sicurezza, monitorarne gli effetti e seguirne l’impatto nel lungo periodo. Questo richiede una pianificazione anticipata, investimenti in formazione e risorse e un dialogo costante tra autorità sanitarie, clinici e comunità dei pazienti”.
A questo proposito, Antonio Condorelli, Vicepresidente di FSHD Italia APS, fa sentire la voce dei pazienti e i loro diritti: “La gestione della malattia non è solo una questione medica, ma riguarda anche la qualità della vita e il diritto all’autonomia. In tale contesto è importante che le promettenti novità normative registrate negli ultimi anni, come il decreto per i diritti delle persone con disabilità, trovino concreta attuazione e che la gestione sanitaria e assistenziale per le malattie rare possa svolgersi all’interno di un disegno coordinato e unitario, onde assicurare il diritto alla salute e alla cura a prescindere dalla regione di appartenenza e dalla numerosità dei pazienti”.
Va quindi garantito l’accesso al Servizio Sanitario Nazionale sulla base di PDTA (percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali) specifici per le malattie rare, una adeguata gestione della lungodegenza, una più capillare e uniforme distribuzione dei centri specialistici sul territorio nazionale, il diritto concreto e gratuito all’assistenza (anche, e soprattutto, in termini di supporto fisioterapeutico, nutrizionale e psicologico), la possibilità di accesso agli ausili (sedie a rotelle, letti motorizzati, sistemi di ventilazione, busti, tutori, etc.), lo sviluppo di programmi dedicati di fecondazione assistita, il mantenimento dell’autonomia e dell’inclusione sociale (tutela del posto di lavoro, conferma della patente di guida, etc.).
In un’ottica di dialogo costante tra pazienti e Istituzioni, Alessandra Locatelli, Ministro per la Disabilità, ha affermato la necessità di un approccio integrato – come quello del “progetto di vita” – nel trattare persona e malattia, così superando la frammentazione tra risposte sanitarie, socio-sanitarie e sociali, mentre la Senatrice Beatrice Lorenzin, già Ministro della Salute, ha sottolineato il ruolo fondamentale delle associazioni di pazienti nel processo di autorizzazione dei farmaci e di valutazione delle tecnologie sanitarie. Domenico Muratori, membro del Consiglio Direttivo di FSHD Italia, ribadisce che: «La collaborazione tra pazienti, medici, ricercatori e istituzioni è oggi più che mai la chiave per trasformare la ricerca in una speranza concreta per le persone affette da FSHD».