Un passo avanti nella lotta contro la mielofibrosi, un tumore che colpisce le cellule staminali del sangue e per il quale non esiste una cura definitiva. Le ricercatrici e i ricercatori del Centro interdipartimentale di cellule staminali e medicina rigenerativa ( Cidstem ) dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia (Unimore), coordinati da Rossella Manfredini, hanno infatti caratterizzato i meccanismi coinvolti nell’emopoiesi extramidollare, le “metastasi” delle neoplasie del sangue, nei pazienti affetti da mielofibrosi, identificando un nuovo bersaglio terapeutico, la proteina di membrana CD44. I risultati dello studio, sostenuto da Fondazione Airc, sono pubblicati sulla rivista internazionale Journal of Cellular and Molecular Medicine.
La mielofibrosi è un tumore che colpisce le cellule staminali del sangue, per la quale non esiste una cura definitiva. La caratteristica principale della malattia è lo sviluppo di fibrosi a livello del midollo osseo, che ne compromette la funzionalità. Come conseguenza, le cellule staminali tumorali lasciano il midollo osseo, entrano in circolo e colonizzano la milza, determinandone un importante aumento delle dimensioni e compromissione delle condizioni cliniche del paziente, che nei casi più gravi deve essere sottoposto all’asportazione della milza. Fino ad oggi non erano chiari i meccanismi cellulari e molecolari che provocano la colonizzazione della milza da parte delle cellule staminali tumorali del sangue, e quindi non erano disponibili terapie capaci di inibire la diffusione delle cellule maligne nella milza e nei tessuti del paziente.
Una nuova strategia per inibire questo processo arriva dai ricercatori e dalle ricercatrici del CIDSTEM. Lo studio ha permesso di dimostrare che l’interazione tra monociti e cellule staminali emopoietiche tumorali che determina la diffusione delle cellule staminali maligne nei pazienti con mielofibrosi è mediata dalla proteina di membrana CD44. “Le attuali terapie disponibili per i pazienti con mielofibrosi ne migliorano la qualità di vita andando ad agire solo sui sintomi”, spiega Manfredini. “La splenomegalia, cioè l’aumento di dimensioni della milza, uno dei sintomi più evidenti ed invalidanti, è ridotta dalla terapia mirata con farmaci come il Ruxolitinib, che non sono purtroppo in grado di eliminare la diffusione delle cellule staminali tumorali. La colonizzazione della milza – continua – da parte delle cellule staminali emopoietiche tumorali è un processo di disseminazione della malattia che porta alla progressione in una forma più grave della mielofibrosi, pertanto è di fondamentale importanza individuare terapie capaci di contrastare questo fenomeno”.
“In studi precedenti avevamo identificato la proteina osteopontina, significativamente aumentata nel plasma dei pazienti con mielofibrosi come principale citochina pro-fibrotica”, afferma Margherita Mirabile. “Osteopontina rappresenta anche un fattore capace di stimolare la migrazione di monociti, che sono in grado di organizzare il rimodellamento del microambiente della milza e richiamare le cellule staminali tumorali del sangue. Ci siamo quindi focalizzati sull’identificazione di inibitori dell’osteopontina allo scopo di ridurre l’emopoiesi extramidollare nei pazienti”, aggiunge. “Tra le diverse molecole analizzate – spiega Sebastiano Rontauroli– il recettore di osteopontina CD44, è emerso come il principale mediatore di questo processo. Infatti, abbiamo dimostrato che la sua inibizione blocca la migrazione dal midollo osseo dei monociti e delle cellule staminali tumorali del sangue, che possono essere richiamate all’interno della milza dall’osteopontina prodotta dai monociti stessi”.
“Complessivamente – conclude Manfredini – questi risultati dimostrano che l’inibizione di CD44 rappresenta un nuovo approccio terapeutico mirato che inibisce lo sviluppo di emopoiesi extramidollare nei pazienti con mielofibrosi nell’ottica di una medicina di precisione che previene la disseminazione delle cellule neoplastiche e la progressione della malattia in una forma più grave”.
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