Se ingrassiamo non è un problema di pigrizia, ma di gola. A dirlo, con convinzione e dati alla mano, sono i ricercatori guidati da Amanda McGrosky, in uno studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences. La ricerca è destinata a mettere in discussione decenni di retorica sulla sedentarietà come causa primaria dell’obesità. Gli scienziati hanno analizzato i dati di oltre quattromila adulti, tra i 18 e i 60 anni, provenienti da 34 popolazioni distribuite in sei continenti. Il risultato, più che una scoperta, è una svolta che indica la strada giusta da seguire in termini di prevenzione: l’aumento dell’obesità nei Paesi economicamente sviluppati è correlato molto più all’eccessivo consumo di cibi ultra-processati, che alla riduzione dell’attività fisica.
Lo studio ha misurato, con metodi rigorosi e validati scientificamente, il dispendio energetico totale, quello basale e quello legato all’attività fisica. I dati sono poi stati messi in relazione con l’indice di massa corporea e con la percentuale di grasso corporeo, i due principali indicatori di obesità. I risultati non lasciano spazio a libera interpretazione: nei Paesi più ricchi, l’energia spesa per l’attività fisica è addirittura leggermente più alta che altrove. Questo significa che non è la mancanza di movimento a spiegare i livelli crescenti di obesità, ma qualcos’altro: le calorie introdotte con l’alimentazione, e in particolare quelle provenienti da prodotti altamente industrializzati.
Wurstel, snack dolci, piatti pronti, prodotti da forno confezionati. Il cosiddetto cibo ultra-processato’, per anni banalmente etichettato come ‘junk food’, ovvero ‘cibo spazzatura‘, è oggi al centro dell’attenzione scientifica perché altera profondamente il nostro metabolismo. E in questo studio si conferma un sospettato di prima linea. I dati mostrano che maggiore è la quota di ‘cibo ultra-processato’ nella dieta, maggiore è la percentuale di grasso corporeo. Una relazione lineare, evidente, trasversale alle culture e ai continenti. Al contrario, il dispendio energetico, sia totale che da attività fisica, spiega solo una piccola parte – circa il 10% – dell’aumento dei tassi di obesità. Il resto è tutto legato a ciò che mangiamo.
Non è una notizia da poco. Per anni, la letteratura scientifica ha spinto sull’attività fisica come primo baluardo nella lotta al sovrappeso e all’obesità. Ma la ricerca di McGrosky e colleghi impone un cambio di prospettiva, e con esso un ripensamento delle politiche pubbliche in tema di prevenzione. Non si tratta di sminuire l’importanza dell’esercizio fisico, che resta fondamentale per la salute cardiovascolare, il benessere mentale, la qualità della vita, ma di riconoscere che da solo non basta. L’obesità è una questione energetica, certo, ma è l’eccesso calorico, non il deficit di movimento ad alimentarla.