Salute 29 Maggio 2025 11:52

Videogiochi in classe? Non distruggono la scuola, la trasformano

Dalle console alle aule: quasi 200 studentesse e studenti e 35 docenti delle scuole superiori nel progetto sperimentale coordinato dall’Università di Bologna e IVPRO per esplorare il ruolo educativo dei videogiochi
Videogiochi in classe? Non distruggono la scuola, la trasformano
Sono 14 milioni le italiane e gli italiani chevideogiocano, il 33%della popolazionetra i 6 e i 64 anni. Perché, allora, non introdurre i videogame a scuola e trasformarli in una risorsa didattica, anziché lasciarli fuori, in balia di pregiudizi e stereotipi? Press Start to Learn 2.0!, progetto sperimentale di alfabetizzazione videoludica, è nato per cambiare prospettiva, trasformando i videogame in strumenti di apprendimento, riflessione ed espressione. Coordinato all’Associazione IVPRO – Italian Videogame Program in partnership con il Dipartimento di Scienze dell’Educazione “Giovanni Maria Bertin” dell’Università di Bologna e realizzato nell’ambito del Piano Nazionale Cinema e Immagini per la Scuola (promosso da MiC e MIM), il percorso ha coinvolto quasi 200 studenti e 35 docenti di 4 scuole superiori in Emilia-Romagna, Toscana e Lombardia.

I videogiochi sono uno strumento utile da integrare nella didattica

Giunta alla sua seconda edizione, l’iniziativa ha affrontato una doppia sfida: da un lato, avvicinare i giovani a un uso consapevole e critico dei videogiochi; dall’altro, offrire agli insegnanti strumenti concreti per integrarli nella didattica e affiancare i linguaggi tradizionali con i nuovi linguaggi del digitale, in un’ottica di Media education. Nei questionari somministrati al termine del percorso, il 58% delle studentesse e degli studenti ha dichiarato di aver cambiato idea sul videogioco, riconoscendone le potenzialità educative, mentre il 79% dei docenti si è dichiarato intenzionato a utilizzarlo a scuola in futuro.

I videogiochi come spazi di riflessione collettiva

Durante i laboratori di gioco in classe, sono stati analizzati diversi titoli con diverse connotazioni come Papers, Please, simulazione ambientata in uno Stato totalitario, Italy. Land of Wonders, videogioco creato dal MAECI per promuovere la cultura italiana, Florence, videogioco dall’estetica simile ad una graphic novel, caratterizzato da una intensa emotività e delle aspettative sociali sulle identità di genere. Le partite hanno offerto uno straordinario spunto di discussione e confronto.
“Abbiamo riscoperto il videogioco come spazio di riflessione collettiva, che consente di affrontare temi culturali ed etici di grande attualità, nonché criticità, che faticano a ‘stare dentro’ i libri di testo e a trovare spazio nelle aule scolastiche: dall’etica alla cittadinanza, fino all’informazione e all’ambiente”, spiega Rosy Nardone, professoressa di Didattica e Pedagogia Speciale che ha coordinato il progetto per l’Università di Bologna.

La reazione degli studenti e la realizzazione di progetti professionali

In alcuni casi, i giovani più introversi hanno preso la parola. “Forse la vera minaccia allo Stato non è il terrorismo, ma l’assenza di libertà di pensiero”, ha commentato uno studente, che raramente interviene in classe, dopo aver riflettuto sulle meccaniche di Papers, Please. Alla teoria si è affiancata la pratica. Ogni classe ha ideato un Game Design Document: un progetto professionale per un videogioco ambientato nel territorio italiano, con focus su ambiente, pari opportunità, memoria e identità. Ne sono nati RPG femministi, horror ecologici, puzzle narrativi sulla memoria e l’identità.
“In un’intervista, Alessandro Barbero ha affermato che i libri sono meravigliosi perché ci permettono di vivere altre vite. Nello stesso modo credo che anche i videogiochi ci permettano di vivere altre vite: scoprire, interessarsi e imparare”, ha dichiarato uno studente alla fine del percorso.

Un approccio alla conoscenza delle professioni del settore videoludico

Press Start to Learn 2.0! ha consentito inoltre a ragazze e ragazzi di conoscere le professioni del settore videoludico, quali quelle di game designer, programmatore, artist e sound designer. Un modo concreto per avvicinarli a percorsi di studio e lavoro in ambiti creativi, spesso ignorati nella formazione scolastica tradizionale. Il corpo docente è stato coinvolto in un ciclo di incontri dedicati. Le resistenze iniziali – legate a pregiudizi culturali o esperienze personali – hanno lasciato spazio a un dialogo critico e costruttivo, soprattutto nel confronto tra videogiochi e social media.
“Possiamo trarre vantaggi dalle tecnologie, a patto di un uso consapevole. I videogiochi sono strumenti dell’epoca in cui viviamo. Stupido non sfruttarli”, ha commentato un docente alla fine del percorso.
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