Sette donne su dieci che convivono con un tumore al seno metastatico temono che la malattia possa progredire. Un dato che non lascia indifferenti, perché racconta il peso psicologico che accompagna la convivenza con una patologia cronica e complessa. Lo stesso timore riguarda anche la metà dei caregiver, i familiari che condividono quotidianamente la fatica della cura. A restituire questa fotografia sono i focus group ideati e coordinati dalla Fondazione IncontraDonna nell’ambito del progetto Officina #Metastabile, un percorso nato per la coprogettazione e l’attuazione sul territorio del PDTA dedicato al tumore metastatico della mammella. Le ultime evidenze sono state presentate oggi a Roma, nella sede di AGENAS, durante il convegno nazionale promosso in occasione della Giornata nazionale del tumore metastatico della mammella. Dalla voce delle pazienti emerge un bisogno chiaro: la necessità di garantire sempre un adeguato servizio di psico-oncologia, insieme alla continuità assistenziale sul territorio, in modo che la relazione di fiducia costruita nel tempo con medici e infermieri non si interrompa.
“In Italia un numero sempre maggiore di donne convive con questa diagnosi – spiega Adriana Bonifacino, fondatrice della Fondazione IncontraDonna –. Nel 2024, su oltre 53mila nuove diagnosi di tumore al seno, circa il 7% è stato metastatico all’esordio, pari a 3.500 casi. Stimiamo che siano oltre 50.000 le persone che convivono con la malattia metastatica, ma il dato resta incerto: è urgente dotarci di indicatori oncologici nazionali per misurare la realtà e garantire risposte adeguate”. Bonifacino sottolinea anche il valore dell’innovazione farmacologica, che oggi consente di aumentare la sopravvivenza e, in alcuni casi, di ottenere regressioni della malattia. Ma vivere più a lungo – precisa – significa anche assicurare una buona qualità di vita. “È prioritario definire un PDTA specifico per la forma metastatica, per assicurare equità di accesso e continuità di cura su tutto il territorio”.
Garantire pari opportunità di accesso alle cure, indipendentemente dal luogo in cui si vive, è una responsabilità delle istituzioni, ribadisce Americo Cicchetti, commissario straordinario di AGENAS: “Anche per le donne con tumore al seno metastatico, l’obiettivo è creare percorsi di cura appropriati, integrati e centrati sulla persona”.
Il timore per la progressione della malattia incide pesantemente sulla qualità di vita, spiega Anna Costantini, past president e consigliera nazionale della Società Italiana di Psico-Oncologia (SIPO): “È presente nel 72% delle pazienti e può evolvere, se non trattato, in depressione clinica. Serve un intervento psico-oncologico strutturato e specialistico”. Una comunicazione chiara, accesso a informazioni affidabili e screening rapidi per identificare le forme più gravi di distress psicologico – sottolinea Costantini – possono aiutare a contenere l’ansia e favorire una maggiore consapevolezza della malattia.
“All’innovazione terapeutica deve affiancarsi un’innovazione organizzativa centrata sui bisogni delle persone”, osserva Nicola Silvestris, segretario nazionale di AIOM. “È necessario un decentramento dell’assistenza: l’ospedale deve aprirsi al territorio, così da portare le cure più vicine al domicilio della paziente e garantire una presa in carico realmente continuativa”,
“Officina #Metastabile dimostra che la presa in carico personalizzata e la collaborazione fra istituzioni, clinici e associazioni possono cambiare la storia del tumore metastatico della mammella – afferma Lavinia Mennuni, membro della Commissione Bilancio del Senato –. È fondamentale sostenere una sanità che porti la cura vicino ai cittadini, utilizzando telemedicina e percorsi personalizzati per evitare ricoveri inutili e garantire continuità assistenziale”.
“L’esperienza di #Metastabile è un esempio virtuoso di come associazioni, clinici e istituzioni possano costruire percorsi per il futuro della nostra sanità – sottolinea Beatrice Lorenzin, membro della Commissione Bilancio del Senato –. Servono PDTA e reti oncologiche coordinati a livello nazionale per evitare una sanità a macchia di leopardo. Investire nella presa in carico multidisciplinare, nel sostegno psicologico e nell’assistenza domiciliare non è un costo, ma un investimento sulla salute e sul futuro delle donne”.
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