C’è chi già a pochi mesi di vita trascorre ore intere ipnotizzato dalla schermo luminoso di smartphone e tablet. Nei primi anni di vita, poi, può diventare una vera e propria abitudine. Secondo i dati raccolti dall’Istituto Superiore di Sanità nella sorveglianza nazionale “Bambini 0-2 anni”, aggiornati a maggio 2025, il 22,1% dei bambini tra i due e i cinque mesi trascorre tempo davanti a schermi – televisori, smartphone o tablet – prevalentemente per meno di un’ora al giorno. Una percentuale che sale al 58,1% tra gli 11 e i 15 mesi, con un 3% dei piccoli che arriva a superare le tre ore quotidiane.
Eppure, questo piccolo oggetto, messo nelle mani dei bambini con crescente disinvoltura, potrebbe lasciare segni profondi e invisibili, che si manifestano anche a distanza di molti anni. A mettere in guardi i genitori e chiunque si occupi dell’educazione dei più piccoli è uno studio pubblicato sulla rivista Journal of Human Development and Capabilities, basato su un’indagine condotta dal team di Sapien Labs attraverso il Global Mind Project, il più grande archivio internazionale di dati sul benessere mentale. I numeri parlano chiaro: i giovani adulti tra i 18 e i 24 anni che hanno ricevuto il loro primo smartphone prima dei 13 anni riportano, oggi, hanno una salute mentale significativamente più fragile. E più bassa è l’età del primo cellulare, peggiori sono gli esiti.
La sofferenza raccontata dai partecipanti allo studio non si esprime solo attraverso sintomi depressivi. A emergere sono pensieri suicidari, aggressività, scarsa regolazione emotiva, distacco dalla realtà, bassa autostima, immagine di sé negativa, fino a una progressiva difficoltà a provare calma, stabilità ed empatia. Una fotografia nitida, che sfugge però ai comuni strumenti di screening, troppo spesso tarati su ansia e depressione e non su questi nuovi disagi. Il punteggio medio del benessere mentale (calcolato su una scala da 0 a 100) subisce un crollo verticale con l’abbassarsi dell’età del primo smartphone. Chi lo ha ricevuto a 13 anni ha un punteggio medio di 30. Chi lo ha avuto a cinque anni arriva a uno. E in questa caduta libera, le ragazze sembrano soffrire più dei ragazzi: la percentuale di giovani donne considerate “in seria difficoltà” è aumentata del 9,5% rispetto a chi ha avuto accesso più tardi, contro il 7% tra i coetanei maschi.
Il problema non è lo smartphone in sé. O almeno, non solo. Gli autori spiegano che dietro la correlazione tra possesso precoce e disagio ci sono una serie di fattori a catena. L’accesso ai social media è il primo anello e rappresenta da solo il 40% dell’effetto totale. Poi ci sono relazioni familiari fragili (13%), cyberbullismo (10%), disturbi del sonno (12%). La precoce esposizione a dinamiche sociali complesse, filtri irrealistici, giudizi continui, chat invasive, notifiche notturne, modella il cervello in formazione in modi che ancora oggi – avvertono gli studiosi – non comprendiamo del tutto. Ma i dati ci dicono che l’impatto è profondo. Per la neuroscienziata Tara Thiagarajan, fondatrice di Sapien Labs e prima firma dello studio, la priorità è chiara: “Non possiamo più trattare l’accesso allo smartphone come una scelta neutra. È una decisione educativa, culturale e sanitaria”.
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