I risultati di una ricerca pubblicata sul New England Journal of Medicine supportano l’efficacia e la sicurezza di una terapia a base di isole pancreatiche derivate da cellule staminali pluripotenti allogeniche (ossia ricavate da donatore sano) per il trattamento del diabete di tipo 1 (zimislecel). Lo studio di fase 1-2 è stato condotto da un gruppo di ricercatori statunitensi ed europei e ha arruolato 14 persone con diabete di tipo 1, tutte sottoposte a follow-up di 12 mesi. Le prime due persone sono state trattate con 400 milioni di cellule infuse nel fegato, al fine di verificarne la sicurezza. Le successive 12 hanno ricevuto 800 milioni di cellule, per valutarne la funzionalità. In entrambe le coorti, la terapia cellulare è stata somministrata in associazione a un regime di immunosoppressione.
L’obiettivo principale dello studio è stato valutare se il trattamento potesse prevenire episodi gravi di ipoglicemia, ovvero pericolosi cali di zucchero nel sangue, nel periodo tra il 3° e il 12° mese dopo la terapia. Questo risultato doveva essere accompagnato da un buon controllo della glicemia, misurato tramite livelli di emoglobina glicata (HbA1c) inferiori al 7%, oppure da una significativa riduzione di almeno un punto percentuale rispetto ai valori iniziali. Tra gli obiettivi secondari, i ricercatori hanno monitorato la sicurezza complessiva del trattamento e la capacità dei pazienti di ridurre o eliminare la necessità di insulina tra il 6° e il 12° mese. Per verificare l’effettivo attecchimento e funzionamento delle cellule pancreatiche trapiantate, è stata misurata la presenza nel sangue del peptide C, un indicatore che dimostra la produzione endogena di insulina e la funzionalità delle isole pancreatiche.
Tutti i dodici partecipanti trattati con dose piena hanno evitato gravi episodi di ipoglicemia e mantenuto un controllo glicemico ottimale, con livelli di emoglobina glicata sotto il 7%. I pazienti hanno trascorso più del 70% del tempo all’interno del range glicemico target, un indicatore chiave di stabilità metabolica. Inoltre, dopo un anno dalla terapia cellulare, 10 dei 12 partecipanti inizialmente dipendenti dall’insulina sono riusciti a sospendere completamente il trattamento insulinico, raggiungendo così l’indipendenza dall’insulina. Questi risultati mostrano come la terapia con isole pancreatiche derivate da cellule staminali allogeniche possa permettere di raggiungere gli obiettivi clinici raccomandati dalle principali associazioni diabetologiche, tra cui la American Diabetes Association (ADA) e l’European Association for the Study of Diabetes (EASD).
“Uno obiettivo non scontato – sottolinea la Raffaella Buzzetti, presidente SID – se pensiamo che il 75% delle persone con diabete di tipo 1 non raggiunge il livello ottimale di emoglobina glicata (che deve essere inferiore al 7%), con un aumento del rischio di retinopatia, neuropatia, nefropatia malattie cardiovascolari e mortalità precoce. Anche tra quelli che utilizzano un sistema di somministrazione automatizzata di insulina, un sondaggio recente ha rivelato come il 35% circa non raggiunga i livelli di emoglobina glicata raccomandati e circa il 9% riporti episodi di ipoglicemia grave e ricorrente”.
“Questa terapia rappresenta un’evoluzione del trapianto di isole pancreatiche“, commenta Lorenzo Piemonti, uno dei “principal investigator” coinvolti nello studio, direttore del Diabetes Research Institute e responsabile del Dipartimento di Medicina Rigenerativa e Trapianti d’Organo dell’Ospedale San Raffaele di Milano. “I risultati clinici finora ottenuti sono sovrapponibili a quelli derivanti dal trapianto di isole prelevate da donatori, ma con un vantaggio fondamentale: le cellule possono essere prodotte in quantità teoricamente illimitata e nei tempi e modi desiderati”.
“La ricerca è il frutto di oltre 25 anni di studi in laboratorio e su modelli preclinici, che hanno mostrato come questa tecnica possa potenzialmente invertire il decorso del diabete“, continua Piemonti. “Pur trattandosi di dati preliminari, i risultati sono promettenti, anche se sarà necessario un periodo di osservazione più lungo e un numero maggiore di pazienti per confermare e consolidare questi risultati.Lo studio FORWARD è attualmente nella sua fase 3, con l’obiettivo di completare l’arruolamento e il dosaggio di circa 50 partecipanti entro il 2025. Nei prossimi anni, la sfida principale sarà sviluppare metodi idonei al fine di impiantare queste cellule senza la necessità di terapia immunosoppressiva, per rendere il trattamento più sicuro e accessibile”, conclude.
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