L’esposizione al nitrato presente nell’acqua potabile è collegato ad un aumento del tasso di nascite premature. Lo rivela lo studio guidato da Jason Semprini, del Des Moines University College of Health Sciences, negli USA, pubblicato sulla rivista PLOS Water. La ricerca ha analizzato l’associazione tra l’esposizione prenatale ai nitrati nell’acqua potabile e il rischio di nascite premature e di neonati sottopeso. La ricerca si basa su 18 anni di dati, relativi a un periodo che va dal 1970 al 1988, basati su 357.741 certificati di nascita dell’Iowa, integrati con misurazioni mensili dei livelli di nitrati nelle acque pubbliche a livello di contea.
Il nitrato, un contaminante comune derivante dall’uso di fertilizzanti in agricoltura, può interferire con la capacità del sangue di trasportare ossigeno. L’Agenzia per la protezione dell’ambiente americana, l’EPA, ha fissato nel 1992 un limite massimo di nitrati nell’acqua potabile pari a 10 mg/L. Tuttavia, lo studio ha evidenziato che anche esposizioni prenatali a livelli molto inferiori a questo limite, a partire da 0,1 mg/L, cioè l’1% del limite EPA, sono associate a un aumento statisticamente significativo del rischio di parto pretermine. Inoltre, esposizioni superiori a 5 mg/L sono correlate a un aumento del rischio di neonati sottopeso. Non sono stati osservati ulteriori incrementi di rischio oltre il limite di 10 mg/L.
I livelli medi di nitrati nelle acque dell’Iowa sono aumentati in media dell’8% all’anno durante il periodo di studio, con un’esposizione media di 4,2 mg/L. Gli scienziati sottolineano che gli attuali standard normativi potrebbero non essere sufficientemente protettivi per la salute prenatale, suggerendo la necessità di una revisione dei limiti, soprattutto considerando il continuo aumento della contaminazione da nitrati nelle falde acquifere. Semprini evidenzia inoltre come l’impatto stimato dell’esposizione prenatale ai nitrati corrisponda a circa il 15% del danno causato dal fumo di sigaretta durante la gravidanza, invitando a dare maggiore attenzione a questo fattore ambientale. Infine, l’autore riconosce i limiti dello studio, concentrato su un solo stato e basato su dati storici, e auspica ulteriori ricerche con dati più recenti e provenienti da altre regioni e fonti di acqua, come i pozzi privati, per rafforzare le evidenze e guidare politiche di tutela più efficaci.
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