Respirare aria inquinata ogni giorno potrebbe compromettere la salute del nostro cervello nel lungo termine. A confermare questa preoccupazione è uno studio condotto dai ricercatori della University of Cambridge, pubblicato sulla rivista The Lancet Planetary Health, che associa l’esposizione cronica all’inquinamento atmosferico a un incremento del rischio di sviluppare demenza, inclusa la malattia di Alzheimer.
Una sfida globale per la salute pubblica
Nel 2019 la demenza ha colpito oltre 57 milioni di persone in tutto il mondo ed è diventata l’ottava causa di morte globale nel 2021. I ricercatori, nell’introduzione dello studio, ricordano come “il peso di questa sindrome neurodegenerativa stia crescendo rapidamente, richiedendo un’urgente riflessione sulle sue cause e su strategie efficaci di prevenzione”. Sebbene da anni si sospettasse un legame tra inquinamento e declino cognitivo, finora mancava una stima chiara dell’entità del rischio e una valutazione precisa del ruolo dei diversi inquinanti.
Coinvolte nello studio 29 milioni di persone
Il nuovo studio ha analizzato i dati provenienti da 32 ricerche condotte in vari Paesi, per un totale di oltre 29 milioni di persone coinvolte. L’analisi ha permesso di individuare tre componenti dell’inquinamento atmosferico che mostrano una correlazione significativa con il rischio di sviluppare demenza: le polveri sottili PM2.5, la fuliggine e il biossido di azoto. Secondo i risultati, per ogni aumento di dieci microgrammi per metro cubo di PM2.5, il rischio relativo di demenza sale del 17%. Anche il biossido di azoto, un inquinante legato principalmente al traffico veicolare e alla combustione dei carburanti, è associato a un aumento del rischio, seppur più contenuto: ogni dieci microgrammi per metro cubo corrispondono a un incremento del 3%. La fuliggine, invece, contribuisce a far salire il rischio del 13% per ogni microgrammo per metro cubo rilevato. Per avere un’idea concreta dell’esposizione quotidiana, basti pensare che nel centro di Londra nel 2023 la media annua di PM2.5 è stata di 10 microgrammi per metro cubo, quella di biossido di azoto di 33, e quella di fuliggine di 0,93.
I meccanismi biologici e le implicazioni ambientali
Sebbene le cause biologiche non siano ancora del tutto comprese, è noto che l’inquinamento atmosferico possa innescare processi infiammatori e di stress ossidativo, con effetti diretti e indiretti sul sistema nervoso centrale. Le particelle ultrafini potrebbero infatti penetrare nei polmoni e da lì entrare in circolo, raggiungendo anche il cervello. Secondo gli autori, la prevenzione della demenza non può più essere considerata una responsabilità esclusiva del sistema sanitario. Interviene in modo deciso Christiaan Bredell, tra i firmatari dello studio, che sottolinea l’importanza di un approccio integrato: la pianificazione urbana, le politiche dei trasporti e la regolamentazione ambientale devono giocare un ruolo attivo nel ridurre l’esposizione della popolazione agli agenti inquinanti.
Un invito alla politica e alla ricerca
Clare Rogowski, autrice principale dello studio, evidenzia che gli effetti dell’inquinamento sull’invecchiamento cerebrale non riguardano solo i Paesi industrializzati. “Al contrario, le fasce di popolazione più vulnerabili, spesso esposte a livelli più alti di inquinamento e con minore accesso a cure e diagnosi, rischiano di subire le conseguenze più gravi”, conclude. Per questo, è fondamentale che la ricerca si estenda anche ai Paesi a basso e medio reddito, dove il fenomeno potrebbe essere ancora più critico e meno documentato.
Per saperne di più: la qualità dell’aria a Roma e Milano
A Milano, la qualità dell’aria relativamente al particolato fine PM₂.₅ si mantiene entro i limiti di legge, con una media annua intorno ai 21 microgrammi per metro cubo, quindi sotto la soglia massima consentita di 25. Per quanto riguarda il biossido di azoto, che è un inquinante soprattutto legato al traffico veicolare, la situazione è un po’ più variegata: in molte zone si rispettano i limiti, ma alcune stazioni, come quella di Cinisello Balsamo, registrano valori leggermente superiori al massimo consentito di 40 microgrammi per metro cubo. Sui dati specifici relativi alla fuliggine, che rappresenta una frazione del PM₂.₅ particolarmente dannosa, non sono invece disponibili misurazioni precise, ma si può presumere che contribuisca alla quota complessiva di particolato (dati ARPA Lombardia).
A Roma, invece, il particolato fine è anch’esso mantenuto sotto la soglia di legge, con medie annuali inferiori a 25 microgrammi per metro cubo. Tuttavia, il biossido di azoto risulta leggermente oltre i limiti in alcune aree della città: per esempio, la stazione di monitoraggio Fermi ha rilevato una media annua di 44 microgrammi per metro cubo. Anche per la fuliggine, mancano dati specifici, ma è noto che rientri nel totale del PM₂.₅, il quale comunque si attesta entro i parametri di legge (dati Arpa Lazio).