Uno studio dell'Università di Torino ha dimostrato che la violenza all’interno delle relazioni affettive e intime può diventare una forza così devastante da condurle al suicidio
La violenza all’interno delle relazioni affettive e intime non solo distrugge la vita delle vittime sul piano psicologico e fisico, ma può diventare una forza così devastante da condurle al suicidio. È quanto emerge da un’importante ricerca condotta dal gruppo di ricerca di Georgia Zara, docente del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino e vicepresidente dell’Ordine degli Psicologi del Piemonte, Paola Torrioni, docente al Dipartimento di Culture, Politica e Società e Agata Benfante, assegnista di ricerca al Dipartimento di Psicologia, pubblicata sulla rivista Trauma, Violence & Abuse.
Oltre 641 milioni di donne nel mondo vittime di violenza
Lo studio ha analizzato la letteratura scientifica internazionale per comprendere il legame tra Intimate Partner Violence (IPV) – la violenza agita da un partner all’interno di una relazione – e suicidalità nelle donne ricoverate in pronto soccorso dopo un tentativo di suicidio. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, oltre 641 milioni di donne nel mondo hanno subito una forma di violenza da parte di un partner. L’IPV rappresenta così una delle più gravi minacce alla salute pubblica e ai diritti umani nel XXI secolo, con costi umani, sociali ed economici altissimi.
Una correlazione letale tra violenza e suicidio
La ricerca, che ha esaminato 22 studi condotti tra il 1995 e il 2023 in diversi paesi del mondo, mostra un dato inequivocabile: le donne che hanno subito violenza domestica presentano un rischio molto più elevato di comportamenti autolesivi, ideazione suicidaria e tentativi di suicidio rispetto alla popolazione generale. In molti casi, il suicidio è stato percepito come l’unica via d’uscita da una condizione di disintegrazione psicologica ed esistenziale generata dalla violenza. La violenza da parte del partner, in tutte le sue forme – fisica, psicologica, sessuale, emotiva o economica – aumenta infatti la vulnerabilità della persona offesa, compromettendo la sua identità, la fiducia in sé e la percezione di avere alternative possibili.
Il pronto soccorso come presidio di prevenzione
Uno degli aspetti più rilevanti messi in luce dallo studio riguarda il ruolo dei pronto soccorso come luoghi chiave per la prevenzione secondaria della violenza. Spesso, infatti, le donne che tentano il suicidio vengono soccorse e dimesse senza che la violenza che le ha condotte a quel gesto venga identificata. Ciò le espone a un altissimo rischio di tornare nella stessa situazione di pericolo, perpetuando il ciclo di violenza. Il pronto soccorso può infatti diventare un ulteriore contesto preventivo per dare voce alla sofferenza causata dalla violenza e per intervenire prima che la violenza possa continuare a ripetersi.
Fondamentale che i medici creino un clima di fiducia
Salvare la vita di queste persone offese richiede principalmente di modificare la convinzione che “niente se non la morte possa salvarle”, sottolineano unanimemente Georgia Zara, Paola Torrioni e Agata Benfante. “La capacità dei professionisti sanitari di saper creare un clima di fiducia e riuscire a utilizzare efficacemente le informazioni relative alla violenza nelle relazioni intime, nei casi di tentativi di suicidio e nei casi estremi di suicidio, potrebbe essere notevolmente migliorata – dichiara Zara – grazie a una formazione specializzata e all’implementazione sistematica di valutazioni di screening del rischio di IPV nel contesto emergenziale del pronto soccorso”.
Necessario un approccio interdisciplinare e integrato
Lo studio condotto all’Università di Torino, il primo nel suo genere a mappare in modo sistematico il legame tra IPV e suicidio nel contesto emergenziale del pronto soccorso, evidenzia la necessità di un approccio interdisciplinare e integrato, che coinvolga volontà istituzionali, scientifiche, sociali e politiche per promuovere sensibilità professionali capaci di lavorare insieme con l’obiettivo della prevenzione della violenza nelle relazioni intime, affettive e familiari. La ricerca evidenzia che molto spesso le donne che sopravvivono al comportamento suicidario non rivelano di essere state vittime di IPV e questo genera nuove condizioni di vulnerabilità perché, se sopravvivono, una volta dimesse rientrano nella casa con il partner maltrattante e violento.
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