Il cervello e l’intestino comunicano costantemente, e questa comunicazione può avere implicazioni profonde per la salute. Lo dimostra un recente studio che allunga la lista delle evidenze scientifiche a favore dell’esistenza di un’ “asse intestino- cervello”. La ricerca pubblicata su Alzheimer’s & Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association, firmato da Cristina Lanni del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università di Pavia, approfondisce, rafforzandolo, proprio questo legame già noto. La ricerca, frutto di due anni di lavoro e finanziata dall’Alzheimer’s Association statunitense con il supporto di fondi nazionali, ha coinvolto sei laboratori accademici italiani e mira a comprendere perché i pazienti con malattie infiammatorie intestinali possano essere più suscettibili a sviluppare patologie neurologiche e neurodegenerative, tra cui l’Alzheimer.
Ogni giorno, il cervello produce scorie metaboliche che devono essere eliminate per funzionare correttamente. Questa “pulizia” è affidata a un sistema speciale chiamato sistema glinfatico. Quando il meccanismo si interrompe, le tossine si accumulano, la comunicazione tra le cellule nervose si altera e la funzione cerebrale rischia di compromettersi. I ricercatori hanno osservato che anche un singolo episodio di infiammazione acuta nel colon può interferire con questo delicato equilibrio. L’infiammazione altera l’orologio biologico e modifica la distribuzione dei fluidi nel cervello, rallentando lo smaltimento delle scorie e alterando il rilascio dei neurotrasmettitori. Il risultato è una disfunzione sinaptica, conosciuta come sinaptopatia, che spiega in parte come un disturbo periferico possa influire sul cervello.
Questa scoperta apre nuove prospettive per la prevenzione delle malattie neurodegenerative. Se sarà possibile preservare o ripristinare la funzione del sistema glinfatico, potrebbe diventare realtà un intervento precoce, capace di proteggere il cervello dagli effetti dell’infiammazione periferica. Lo studio suggerisce inoltre che il corpo e la mente non siano mondi separati, ma strettamente interconnessi, e che le patologie apparentemente lontane possano avere effetti reciproci importanti. Comprendere questi meccanismi potrebbe permettere di identificare biomarcatori precoci e strategie terapeutiche mirate, aprendo la strada a nuove forme di prevenzione.
Lavori come quello guidato da Cristina Lanni dimostrano il valore della collaborazione tra laboratori nazionali e internazionali e confermano come la ricerca italiana possa contribuire in maniera significativa allo studio delle malattie neurodegenerative. Comprendere l’asse intestino-cervello non è solo un progresso scientifico, ma anche un’occasione per migliorare la salute e la qualità della vita dei pazienti, anticipando processi che potrebbero portare alla neurodegenerazione.
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