I pipistrelli, serbatoi naturali di diversi coronavirus, sono stati al centro di un’indagine condotta in 14 allevamenti suinicoli nel Triveneto. Lo studio ha identificato otto specie di chirotteri, tra cui Pipistrellus kuhlii, P. pipistrellus e Hypsugo savii, e ha rilevato tre nuove specie di coronavirus con sequenziamento completo del genoma.
Gli allevamenti suini possono rappresentare “hotspot” per i pipistrelli. La presenza di stanze vuote, illuminazione e strutture che attraggono insetti favorisce l’attività dei chirotteri, mentre l’habitat circostante influisce meno sulla diversità delle specie. In questo contesto, i pipistrelli contribuiscono al controllo degli insetti dannosi e alla riduzione dei pesticidi, ma aumentano anche il rischio di esposizione ai virus.
Lo studio ha mostrato una circolazione attiva di coronavirus in P. kuhlii, con picchi di attività a maggio e agosto. Alcuni virus sono condivisi tra specie diverse (P. kuhlii e H. savii), aumentando il rischio di ricombinazione genetica. Le analisi indicano che i suini potrebbero essere esposti ad almeno otto coronavirus distinti, ognuno legato al proprio ospite.
La ricerca evidenzia la frequente assenza di barriere fisiche negli allevamenti e un’applicazione disomogenea delle pratiche di biosicurezza. Gli esperti raccomandano interventi mirati, come l’installazione di barriere e l’uniformità dei protocolli, per ridurre il rischio di spillover virale e proteggere sia la salute degli animali sia quella umana.
Secondo Stefania Leopardi, supervisore della ricerca, “l’interfaccia tra animali selvatici, domestici e uomo è un confine labile dove possono emergere malattie infettive. Identificare nuovi coronavirus è fondamentale per comprendere il loro adattamento e prevenire fenomeni di spillover”. Lo studio conferma l’importanza di un approccio multidisciplinare One Health, che integri ecologia, virologia e modellistica ambientale per la tutela della salute pubblica.
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