Da tempo si sa che i medici, nel complesso, godono di una mortalità più bassa rispetto alla popolazione generale. Ma i chirurghi rappresentano un’eccezione. L’ambiente di lavoro, la pressione costante, le esposizioni a radiazioni e, non da ultimo, episodi di violenza sul luogo di lavoro, fanno sì che questa categoria sia più vulnerabile. I chirurghi si trovano così a pagare un prezzo molto alto in termini di salute e longevità, che potrebbe incidere anche sulla qualità delle cure.
Tumori e malattie cardiovascolari sono, infatti, le prime cause di morte tra tutti i medici, qualunque sia la loro specialità. Ma analizzando la situazione solo dei chirurghi la situazione cambia radicalmente. Tra chi trascorre la maggior parte delle sue giornate in una sala operatoria la mortalità per tumore arriva a 193,2 decessi ogni 100mila abitanti, più del doppio rispetto agli altri medici, dove si attesta a 87,5. Emergono inoltre cause meno comuni, ma significative per i chirurghi: gli incidenti stradali sono la quarta causa di morte, con una frequenza quasi quattro volte superiore rispetto ai colleghi non chirurghi. Le morti per aggressione e ipertensione sono rispettivamente doppie e triple. I ricercatori attribuiscono questi dati a uno stile di lavoro caratterizzato da turni lunghi e stressanti, esposizioni professionali e rischi ambientali e comportamentali, come la guida dopo turni prolungati.
La fotografia è stata scattata dai ricercatori dell’Harvard Medical School negli Stati Uniti, in uno studio pubblicato sulla rivista Jama Surgery. I dati utilizzati provengono dal National Vital Statistics System 2023 e sono stati integrati con l’American Community Survey e l’AMA Physician Masterfile, per analizzare la mortalità di adulti tra i 25 e i 74 anni. Tra oltre un milione di decessi, 224 erano chirurghi, 2.740 altri medici. Il tasso di mortalità dei chirurghi, a parità di genere ed età, si attesta a 355,3 decessi ogni 100mila abitanti, contro 228,4 per gli altri medici, con un aumento del rischio del 56%. Un dato che avvicina i chirurghi a professioni come avvocati o ingegneri, pur mantenendoli in una fascia di rischio inferiore rispetto alla popolazione generale, in cui i decessi superano i 630 per 100mila.
I risultati indicano, dunque, la necessità di rivedere le condizioni lavorative in chirurgia. Lo studio presenta però una limitazione importante: i dati disponibili sono relativi solo all’anno 2023, per cui non è possibile valutare variazioni temporali o trend nel lungo periodo. Ridurre la durata dei turni, offrire strumenti efficaci di gestione dello stress e attivare programmi di monitoraggio sanitario mirati potrebbero rappresentare passi importanti per abbattere i rischi evidenziati. La tutela della salute dei chirurghi, infatti, è una sfida che riguarda non solo i professionisti stessi, ma l’intero sistema sanitario, perché da essa dipende la qualità e la sicurezza delle cure offerte ai pazienti.
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