Le aspettative individuali sul proprio stato di salute possono influenzare la salute futura. Una ricerca condotta da psicologi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Milano, mostra che, dopo una diagnosi di asma, le persone che sono ottimiste rispetto al proprio stato di salute avranno un decorso più lento della patologia. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista “Health Expectations” (Wiley) e condotto da Francesco Pagnini, ordinario di Psicologia Clinica alla Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica.
“Questo studio è stato sviluppato in risposta alle difficoltà segnalate dai pazienti nella gestione dell’asma“, spiega Pagnini. “I pazienti hanno contribuito a identificare le principali aree di preoccupazione e le loro prospettive hanno influenzato la scelta dei risultati e degli strumenti. Sebbene il coinvolgimento diretto nel reclutamento e nella diffusione sia stato limitato a causa della pandemia, la progettazione e l’obiettivo dello studio – continua – sono stati guidati dalle priorità dei pazienti, con potenziali applicazioni nelle consultazioni cliniche e nei futuri interventi co-progettati”.
“Dopo aver ricevuto una diagnosi, le persone spesso sviluppano aspettative su come evolverà la loro condizione”, spiega Pagnini. “Questo quadro cognitivo, noto come ‘aspettative di malattia‘ (illness expetactions – IE), comprende credenze orientate al futuro riguardo al decorso della malattia e ai suoi sintomi. Nelle condizioni croniche come l’asma, le IE – continua – possono svolgere un ruolo fondamentale nel determinare i risultati riferiti dai pazienti e i marcatori clinici indicativi della progressione della malattia. In questo studio abbiamo valutato empiricamente l’impatto delle IE sui sintomi dell’asma e sulla funzione respiratoria dei pazienti”.
“Abbiamo coinvolto un gruppo di 310 persone con diagnosi di asma seguite per un periodo di 6 mesi, con tre punti di valutazione, misurando il livello di controllo dell’asma con l’Asthma Control Test (ACT), mentre la funzione respiratoria è stata valutata attraverso il volume espiratorio forzato in 1 secondo (FEV1) utilizzando la spirometria”, spiega. “All’inizio dello studio abbiamo valutato per ciascuno le IE utilizzando il test convalidato Illness Expectation Test (IET), che cattura sia le aspettative esplicite (consapevoli), sia quelle implicite (inconsapevoli)”. È emerso che le persone con IE esplicite più negative riguardo alla loro asma hanno riportato sintomi peggiori nel tempo. Le IE esplicite sulla progressione dei sintomi erano anche associate a cambiamenti nella funzione polmonare, con aspettative più negative che predicono un maggiore declino delle prestazioni respiratorie, aggiunge il professore.
Questi risultati suggeriscono che le IE possono essere significativamente associate agli esiti dell’asma, evidenziando la loro potenziale rilevanza nella comprensione delle esperienze dei pazienti e della percezione dei sintomi. “In esperimenti con pazienti colpiti da altre malattie – continua l’esperto -ad esempio la sclerosi multipla, abbiamo ottenuto risultati simili”. L’ipotesi suggerita per spiegare questi risultati è che, come nell’effetto placebo, quello che succede è che se io ho un’idea sul mondo e sul futuro che mi attende, quell’idea prevarrà, in gran parte influenzando i comportamenti e quindi ad esempio modificando l’aderenza alle terapie e alle raccomandazioni cliniche, conclude.
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