Ci sono malattie talmente rare che anche i medici faticano a riconoscere. Solo le patologie ultrarare, quasi sempre diagnosticate in ritardo. Colpiscono meno di una persona ogni 50mila, un numero talmente esiguo da sembrare invisibile. A complicare ulteriormente la situazione non è solo l’origine genetica, ma anche la loro complessità clinica e l’isolamento che impongono: sociale, economico, emotivo. Perché, per chi ne è colpito – nella maggior parte dei casi si tratta di un bambino – e per chi se ne prende cura ogni giorno, come un genitore, queste malattie sono un labirinto senza uscita, dove mancano indicazioni, mappa e compagni di viaggio.
Tra queste malattie ultrarare c’è la SPG50, una delle forme più rare di paraplegia spastica ereditaria, causata da una mutazione genetica che altera lo sviluppo motorio e cognitivo. Nel mondo, oggi, sono poco più di 100 i bambini che hanno ricevuto questa diagnosi. Tra queste c’è Martina (nella foto). La sua mamma, Jessica, ha conosciuto il nome della malattia di sua figlia dopo 12 anni, nel 2020. “Fino ad allora – racconta Jessica, in un’intervista a Sanità Informazione – la nostra vita è stata un susseguirsi di visite, incertezze, ipotesi, terapie inutili. Poi una sigla: SPG50”. E, da questa ‘rivelazione’, arrivata tardi, è nata l’associazione “Un Raggio di Sole per Marty”, fondata dalla stessa mamma di Martina, per sostenere la ricerca, aiutare altre famiglie e per non arrendersi. “Le strade erano due: aspettare la degenerazione o fare qualcosa per lei”, racconta. Ha scelto la seconda. E da quella scelta, è nata una rete.
Chi affronta una malattia ultrarara, come la SPG50, combatte una battaglia quotidiana. Non c’è solo la diagnosi tardiva da affrontare, diagnosi che spesso arriva quando i danni sono già avanzati. Ma anche l’assenza di terapie approvate, poiché la ricerca per patologie ultrarare avanza più lentamente. Ancora, si finisce risucchiati dall’isolamento sociale: nessuno sa di cosa parli, nessuno sa come aiutarti. “Creare l’Associazione mi ha permesso proprio di uscire da questo isolamento”, racconta ancora Jessica, la cui vita, inevitabilmente, ruota attorno a Martina, tra assistenza continua e un lavoro che ha dovuto reinventare. “Da poco tempo ho ottenuto un impiego in ufficio, prima facevo la commessa e lavoravo anche nei weekend. Ora ho un contratto più flessibile e questo mi permette di dedicarmi anche all’altro mio figlio, che per quanto consapevole delle cure continue di cui necessita la sorella, è pur sempre un ragazzo da accompagnare lungo il suo percorso di crescita. E conciliare tutto è davvero faticoso. Non c’è solo per il dispendio energetico, ma anche per quello economico. Il centro diurno che frequenta Martina, altrimenti privata di qualsiasi forma di socialità, ci costa circa 500 euro al mese”.
Se il momento più brutto nella vita di Jessica è stato quello della diagnosi, il più bello è arrivato quando ha conosciuto, anche se solo virtualmente, Terry Pirovolakis, padre di un altro bambino con SPG50 e fondatore di Elpida Therapeutics. “Questo incontro ha riacceso in me la speranza, la speranza di poter almeno evitare che la malattia di Martina continui a degenerare”, aggiunge la donna. Papà Terry, infatti, ha fondato un’azienda no profit, ha assunto ricercatori ed ha prodotto una terapia genica in meno di due anni. Quel trattamento, oggi, ha un nome: Melpida. E potrebbe essere somministrato, in Italia, entro fine 2024, grazie a uno studio clinico no profit che dovrebbe partire presso l’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, grazie ai fondi raccolti proprio dall’associazione ‘Un Raggio di Sole per Marty’. “Abbiamo bisogno di fondi per coprire l’avvio. Servono 250-300mila euro per trattare cinque bambini – spiega -. Abbiamo coinvolto Telethon, che si è detta disponibile, ma il tempo stringe: le dosi scadono a marzo 2026. Dopo, non ci sarebbe più nulla da fare.”
Intanto, in questi anni già trascorsi l’Associazione non è rimasta di certo a guardare: ha organizzato il primo congresso nazionale sulla SPG50, ha creato centri estivi gratuiti per bambini disabili, ha inaugurato una palestra inclusiva in collaborazione con il Don Gnocchi a Rovato. Ha dato voce, in silenzio, a chi non ne aveva. “Quello che manca, spesso, non è la volontà, ma qualcuno che ti dica che si può fare”, dice Jessica. E così, da una diagnosi devastante, è nato un vero e proprio ‘movimento’.
Le madri come Jessica sono anche caregiver H24. Ma nessuno le retribuisce, nessuno le tutela. “Mi aiuta lavorare, anche per la mente oltre che per le necessità economiche familiari. Ma se il caregiver non sta bene? La persona assistita non può che peggiorare. E questo lo Stato non lo considera”. Per questo, Jessica auspica una presa di coscienza collettiva: “La cura nelle malattie ultrarare non può essere lasciata solo alle famiglie. Richiede politica, ricerca, alleanze. E visibilità – dice la donna -. Probabilmente, finché ci sarà qualcuno a raccontare queste storie, forse non sembreranno più così rare. E allora – conclude Jessica – continuerò a dare voce alla mia, affinché escano dal buio tutte le altre e nessuno si senta più solo”.