Cittadinanzattiva ha presentato un'indagine civica e un Piano di azione per migliorare l'aderenza terapeutica. La ricerca ha infatti evidenziato che la metà dei pazienti fatica a seguire le prescrizioni
Solo la metà dei cittadini, in cura per una o più patologie, segue le terapie in modo costante ed appropriato. L’altra metà si divide fra chi, in maniera preponderante, le salta raramente (35,6%) e chi occasionalmente (11,5%). Un residuo 1,5% non le segue con alcuna costanza. Il profilo dei pazienti “non aderenti” è rappresentato principalmente da persone fragili e anziane, con basso livello socio-culturale, spesso sole o comunque con scarso supporto familiare. A pesare sulla non aderenza contribuisce molto anche la comorbidità, ossia la presenza di due o più patologie. Sono questi alcuni dei risultati che emergono dalla “Indagine civica sull’aderenza terapeutica: un piano d’azione comune”, presentata da Cittadinanzattiva e che ha coinvolto target eterogenei, rappresentati da un totale di 547 fra pazienti e presidenti di associazioni di pazienti e da ben 2228 professionisti sanitari.
Le spese derivate dalla scarsa aderenza ammontano a 2 miliardi di euro l’anno
“L’aderenza terapeutica è un fenomeno complesso e multifattoriale e, in quanto tale, necessita di interventi personalizzati e allo stesso tempo strutturali per garantire l’efficacia delle cure e quindi la qualità di vita dei pazienti”, dichiara Anna Lisa Mandorino, Segretaria generale di Cittadinanzattiva. “Interventi che consentirebbero di contenere le spese economiche derivanti dalla scarsa aderenza alle terapie, stimate in circa 2 miliardi di euro l’anno per il Servizio Sanitario Nazionale. Quanto e come il cittadino segua con costanza le terapie, siano esse farmacologiche e non, è condizionato – continua – da numerosi fattori, di carattere anagrafico, sociale, economico, di stili di vita, e dunque – accanto ad interventi di sistema finalizzati a integrare un modello di rete coordinato, di prossimità, supportato da strumenti digitali e capacità organizzativa – occorre puntare molto sul tempo che i professionisti possono dedicare al paziente e ai suoi caregiver”.
Il profilo dei pazienti coinvolti nella ricerca
Fra i cittadini che hanno risposto al questionario, oltre la metà è affetta da patologie di tipo metabolico, da patologie reumatologiche (39,1%) e cardiovascolari (29,1%). Si tratta di ambiti che, per natura, richiedono trattamenti continuativi e spesso complessi, con un impatto rilevante sulla gestione quotidiana della terapia. In particolare ciò è vero per chi convive con più patologie, un target che, all’interno del campione di riferimento, è rappresentato dai due terzi dei cittadini. La quota più ampia di pazienti intervistati (38%) interpreta l’aderenza come rispetto puntuale delle indicazioni mediche, il 18% come un fattore di consapevolezza e responsabilità personale, mentre il 15% come conseguenza diretta della relazione medico-paziente, basata sul dialogo, fiducia, confronto e collaborazione.
Le persone fragili e anziane sono più a rischio
Fra le motivazioni che portano a non seguire la terapia prevalgono, a detta dei pazienti, aspetti psicologici e percettivi: il (28,3%) soffre la sensazione di dipendenza dal farmaco, mentre la pigrizia o mancanza di motivazione (20,8%) e la percezione di non essere in pericolo reale (20,2%) contribuiscono a una riduzione dell’aderenza. Interessante il profilo dei pazienti “non aderenti” fornito dai presidenti delle associazioni: quasi il 73% di questi ultimi afferma che sono maggiormente a rischio le persone fragili e anziane, quelle con basso livello socio-culturale (58,3%), chi vive in condizione di solitudine e di scarso supporto familiare (54,2%), a conferma del ruolo cruciale della rete sociale nel sostenere la gestione quotidiana della terapia. Rilevante anche la quota (45,8%) di chi sostiene che i pazienti con comorbidità siano quelli più a rischio.
Tra i fattori di rischio anche la presenza di due o più patologie
Anche i professionisti intervistati confermano in gran parte le caratteristiche del paziente a maggior rischio di non aderenza: con percentuali superiori al 70%, lo individuano nelle persone sole o anziane, poco meno (con percentuali intorno al 65%) in soggetti con basso livello socio-culturale. La presenza di due o più patologie risulta essere un fattore importante ma meno rilevante degli altri rispetto al rischio di non seguire correttamente le terapie: ad indicarla è circa un terzo del campione dei medici di medicina generale e degli infermieri, oltre la metà dei farmacisti ospedalieri e degli specialisti.
Cosa manca per una maggiore aderenza terapeutica
Fra le priorità indicate dai presidenti delle associazioni, emerge sicuramente il rafforzamento della comunicazione medico-paziente (22%), il coinvolgimento strutturato delle associazioni nei percorsi assistenziali (18%), la necessità di educazione terapeutica e informazione capillare (16%), il bisogno di formazione e supporto ai caregiver e ai volontari (12%), riconosciuti come attori centrali nei percorsi di aderenza. Anche i cittadini, al fine di migliorare l’aderenza terapeutica, chiedono prima di tutto più dialogo con il medico curante (36,1%) e un maggiore supporto pratico, sia digitale sia analogico (35,6%). Un altro quarto dei rispondenti manifesta il bisogno di confronto con altri pazienti (26,1%) e di un maggiore coinvolgimento di altri professionisti sanitari — infermieri, farmacisti, operatori di prossimità (25,2%), vedere miglioramenti tangibili (24,9%). Il bisogno di un supporto motivazionale è indicato dal 19,9%.
Il peso della mancanza di tempo dedicato al dialogo
I pazienti chiedono dunque un supporto personalizzato, che combini: una relazione più stretta e continua con il medico; strumenti concreti per la gestione quotidiana; un accompagnamento motivazionale e relazionale non necessariamente clinico. In linea con quanto richiesto da cittadini ed associazioni è il dato, fornito dai vari professionisti sanitari, relativo alla mancanza di tempo dedicato al dialogo che emerge come critico nella scarsa aderenza terapeutica: a dirlo è oltre la metà degli infermieri (53,2%), quasi la metà dei medici di medicina generale (45,9%) e dei farmacisti ospedalieri (48,5%), oltre un terzo (35,3%) dei medici specialisti. Colpisce in positivo il dato dei farmacisti di comunità che, al contrario, solo in un caso su cinque (21%) dichiarano di aver poco tempo per il dialogo.
Il ruolo della digitalizzazione
Sicuramente carente, dal punto di vista dei professionisti, l’interazione con gli altri colleghi: a dirlo in particolare è oltre il 75% dei Mmg, il 65% dei farmacisti di comunità, il 63% degli infermieri. La scarsa formazione dei professionisti sul tema dell’aderenza terapeutica risulta essere un elemento particolarmente condiviso tra gli infermieri (che lo indicano come tale nel 63%) e fra i MMG (in oltre un caso su due). Molto da fare anche in termini di digitalizzazione. Il ricorso a strumenti digitali per monitorare l’aderenza terapeutica risulta più diffuso fra i MMG (58,1%) e fra i farmacisti ospedalieri (42,6%) del campione. È invece ancora molto limitato tra gli specialisti – che in oltre l’88% dei casi dichiarano di effettuare il monitoraggio in larga parte attraverso strumenti tradizionali come i colloqui di follow-up – e fra gli infermieri – che li utilizzano in meno di un terzo dei casi – e fra i farmacisti di comunità che appena in un caso su quattro affermano di disporre di strumenti informatizzati per monitorare l’aderenza terapeutica.
Da Cittadinanzattiva un Piano d’azione
Il Piano di azione proposto da Cittadinanzattiva e dal tavolo di lavoro per migliorare l’aderenza terapeutica individua interventi in quattro ambiti:
Garantire l’effettiva identificazione di un indicatore specifico per misurare l’aderenza terapeutica dei pazienti, con un’attenzione particolare alla riduzione delle disparità socio-demografiche e territoriali.
Da realizzare attraverso il pieno funzionamento e l’integrazione del FSE e promuovendo la co-progettazione e l’adozione di sistemi di alert e reminder (per il paziente e il professionista) integrati nei gestionali clinici, che segnalino il mancato ritiro del farmaco o la scadenza del Piano Terapeutico.
Prevedere un “modello di rete coordinato”, attraverso: l’adozione di protocolli condivisi che definiscano in modo chiaro i canali di comunicazione e feedback reciproco tra ospedale e territorio per la gestione delle terapie croniche; l’attuazione della Farmacia dei Servizi e il rafforzamento del ruolo dell’Infermiere di Famiglia e Comunità; la riduzione del carico amministrativo e burocratico.
Riconoscere il tempo per il dialogo approfondito e l’educazione terapeutica come un atto di cura fondamentale; prevedere percorsi di formazione interprofessionale continua che si concentri sulle competenze comunicative, sul counseling motivazionale; realizzare interventi che tengano conto dei determinanti sociali e delle differenze di genere nella percezione degli ostacoli e nella individuazione di soluzioni personalizzate. Fondamentale il potenziamento del ruolo degli Assistenti Sociali e degli Infermieri di Famiglia/Comunità nel team di cura, con protocolli strutturati di collaborazione con i MMG e gli Specialisti, per intercettare attivamente i pazienti a rischio (persone sole, fragili/anziane, con disagio socio-economico) e il coinvolgimento delle Associazioni di Pazienti e organizzazioni civiche nel percorso di cura.
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