Un nuovo studio su oltre 280 mila adulti mostra che il vaccino vivo-attenuato contro l’herpes zoster non solo previene la demenza, ma ne rallenta la progressione
Un vaccino progettato per prevenire l’herpes zoster potrebbe avere un impatto molto più ampio sulla salute cerebrale degli anziani. Lo evidenzia un nuovo studio pubblicato su “Cell“, che conferma e potenzia le precedenti osservazioni sugli effetti “off-target” del vaccino vivo-attenuato Zostavax. Il team guidato da Pascal Geldsetzer, della Stanford University, ha analizzato i dati di 282.500 adulti gallesi, includendo soggetti sani e pazienti con diagnosi già nota di demenza.
Meno MCI e progressione più lenta della demenza
Ricerche precedenti avevano già suggerito che il vaccino potesse prevenire o ritardare le nuove diagnosi di demenza. Il nuovo studio aggiunge un tassello importante:
Gli effetti non sembrano concentrarsi su un singolo tipo di demenza, indicando una possibile azione più ampia sul sistema neuroimmune.
Tra i malati un calo del 29,5% del rischio di morte
Il risultato più sorprendente riguarda i pazienti già diagnosticati. Nei nove anni successivi alla vaccinazione, il rischio di morire per demenza si riduce del 29,5%. Un dato mai documentato con questa forza in studi precedenti. “Osserviamo per la prima volta un rallentamento nella progressione delle demenze che porta a una riduzione dei rischi di morte – afferma Geldsetzer -. In sostanza, chi ha già la demenza rischia meno di morire di demenza. Questo significa che il vaccino può agire non solo in prevenzione, ma come potenziale trattamento terapeutico“.
Perché un vaccino può influire sulla neurodegenerazione
Il virus varicella-zoster è un noto virus neurotropo che, riattivandosi in età avanzata, può fungere da stressore immunitario cronico. Questa riattivazione attiva vie infiammatorie che disturbano l’equilibrio neuroimmune e sono state associate a processi tipici dell’Alzheimer, come accumuli di beta-amiloide, alterazioni della proteina tau e danni cerebrovascolari. Ridurre le riattivazioni con la vaccinazione potrebbe dunque modulare questi meccanismi. Gli autori non escludono nemmeno un ruolo più generale: le vaccinazioni in età avanzata potrebbero contribuire a contrastare l’immunosenescenza, offrendo benefici più ampi del solo effetto anti-zoster.
Implicazioni per la sanità pubblica
La solidità metodologica dello studio deriva da una caratteristica del programma vaccinale britannico: l’eleggibilità al vaccino dipendeva rigidamente dalla data di nascita. Così i ricercatori hanno potuto confrontare persone quasi identiche per caratteristiche socio-sanitarie, ma con una diversa probabilità di essere vaccinate. Questo approccio riduce in modo significativo i bias tipici degli studi osservazionali. In un contesto in cui i casi di demenza sono destinati a triplicare entro il 2050, la possibilità che un vaccino già disponibile, sicuro e ampiamente utilizzato possa rallentare l’intero decorso della malattia apre scenari nuovi per la ricerca e la pratica clinica.
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