Salute 4 Dicembre 2025 17:13

Dottor Social? La denuncia degli esperti: “Mancano competenze, trasparenza e controlli”

Gli influencer sono sempre più determinanti nelle decisioni sulla salute, ma consigli parziali o scorretti possono generare rischi clinici ed economici. Il BMJ chiede un intervento coordinato di governi e piattaforme per tutelare i cittadini in un ecosistema digitale ancora poco regolamentato.

di Isabella Faggiano
Dottor Social? La denuncia degli esperti: “Mancano competenze, trasparenza e controlli”

Gli influencer sono sempre più determinanti nelle decisioni sulla salute, ma consigli parziali o scorretti possono generare rischi clinici ed economici. Il BMJ chiede un intervento coordinato di governi e piattaforme per tutelare i cittadini in un ecosistema digitale ancora poco regolamentato. Nel mondo iperconnesso dei social, il confine tra intrattenimento e informazione sanitaria è diventato sempre più sottile. Gli influencer, capaci di parlare un linguaggio diretto, personale e “quasi intimo”, raggiungono milioni di persone con una forza persuasiva che spesso supera quella delle istituzioni. È questo il cuore del problema: consigli medici non sempre fondati, spesso spinti da interessi commerciali, finiscono per guidare scelte delicate come l’acquisto di integratori, farmaci, test diagnostici o perfino alternative a terapie salvavita. Un recente studio, pubblicato sul BMJ, evidenzia un quadro chiaro: gli influencer non sono solo voci della cultura pop, ma veri e propri attori nella percezione pubblica della salute, con un impatto che può essere sia prezioso sia profondamente dannoso. Regolamentare questo ecosistema complesso, dominato da algoritmi opachi e dinamiche globali, è oggi una delle sfide più urgenti per la sanità pubblica.

Un’influenza capillare che attraversa i confini

La portata del fenomeno è sorprendente. In Austria, ad esempio, l’83% dei giovani tra 15 e 25 anni dichiara di imbattersi regolarmente in contenuti sanitari prodotti da influencer. Una fetta rilevante di questi ragazzi prende decisioni concrete sulla base dei loro suggerimenti: il 31% ha acquistato integratori, il 13% farmaci da banco e l’11% ha effettuato test diagnostici fai-da-te. Situazioni analoghe emergono in diversi Paesi europei, negli Stati Uniti e in Australia, segno che la popolarità digitale trascende le frontiere e amplifica un problema ormai universale. La percezione di autenticità degli influencer, unita al senso di vicinanza costruito tramite storie personali e linguaggi informali, crea un terreno fertile per la fiducia. È una fiducia potente, ma non necessariamente meritata. In molti casi, le affermazioni che circolano online omettono aspetti fondamentali: uno studio citato dal BMJ rivela che i post dedicati a test medici controversi enfatizzano i benefici nell’87% dei casi, mentre solo nel 15% menzionano rischi o limiti. Ancora più preoccupante è il dato sui dosaggi degli integratori consigliati: due terzi superano i livelli di sicurezza nazionali e il 7% eccede persino i limiti massimi raccomandati dall’EFSA.

Le dinamiche che alimentano la disinformazione

Non tutti gli influencer agiscono in malafede. Spesso il problema è la mancanza di competenze: figure molto seguite parlano di ADHD, metabolizzazione dei farmaci o ormoni “bioidentici” come se fossero esperti, quando invece non possiedono alcuna formazione medica. Altri casi riguardano partnership commerciali poco trasparenti che indirizzano consigli “salutari” verso prodotti specifici, test genetici di dubbia utilità o integratori venduti direttamente dal creator stesso. Esistono poi distorsioni più sottili, legate alla narrazione personale. Quando un influencer racconta la propria esperienza di recupero da una malattia attribuendola a rimedi non comprovati, l’effetto sul pubblico può essere molto più forte della comunicazione istituzionale, perché entra in gioco l’empatia. È così che contenuti potenzialmente dannosi—come la promozione di cure alternative al posto della chemioterapia o la minimizzazione della gravità di malattie infettive—trovano facilmente terreno fertile.

Non solo rischi: il potenziale positivo degli influencer

Lo studio del BMJ sottolinea però anche un aspetto spesso trascurato: gli influencer non sono soltanto un problema. Alcuni collaborano attivamente con professionisti della salute, contribuiscono a sfatare falsi miti e aiutano a raggiungere gruppi tradizionalmente difficili da intercettare con le campagne pubbliche. Per una parte della popolazione, soprattutto i più giovani, possono rappresentare un ponte fondamentale per avvicinare informazioni sanitarie corrette e promuovere comportamenti virtuosi. Il tema, dunque, non è demonizzare gli influencer, ma creare un ecosistema in cui il loro potenziale positivo possa emergere senza mettere a rischio gli utenti.

Regolare questo mondo: una sfida complessa ma inevitabile

L’Unione Europea ha aperto un varco importante con il Digital Services Act, che obbliga le piattaforme a valutare e mitigare l’impatto dei loro algoritmi sulla salute pubblica. Alcuni Paesi stanno già sperimentando misure più specifiche: in Italia gli influencer “ad alta diffusione” devono rispettare un codice di condotta e rendere trasparenti collaborazioni e claim, mentre la Francia ha vietato la promozione di chirurgia estetica, dispositivi medici delicati e contenuti che potrebbero scoraggiare trattamenti salvavita. Tuttavia, regolamentare un ambiente dominato da contenuti transnazionali, creator che operano da Paesi con normative differenti e algoritmi che privilegiano l’ingaggio rispetto all’affidabilità è estremamente complesso. Le proposte del BMJ invitano a una risposta multilivello: maggiore alfabetizzazione digitale, codici di condotta più stringenti, audit indipendenti per le piattaforme, accesso ai dati per i ricercatori e sanzioni chiare per chi diffonde informazioni dannose.

Una questione di cultura, responsabilità e trasparenza

La sanità pubblica si trova di fronte a un nuovo fronte di sfida: non basta più fornire informazioni corrette, occorre competere con narrazioni emozionali, personalizzate e amplificate da meccanismi digitali progettati per massimizzare la visibilità, non la veridicità. La soluzione non può essere unica, semplice o immediata. Serve un coordinamento tra istituzioni, piattaforme, professionisti sanitari e influencer stessi. In un contesto in cui la fiducia si costruisce più su un video di 30 secondi che su un documento ufficiale, il futuro della comunicazione sanitaria dipende dalla capacità di riconoscere che anche la popolarità è diventata una forma di potere—e che come ogni potere, necessita di regole, responsabilità e trasparenza.

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