Salute 1 Dicembre 2025 14:55

Parkinson, la microglia “infiammata” come motore nascosto della malattia: lo studio che illumina il ruolo del recettore P2X7

La PET con un nuovo tracciante rivela un’elevata attivazione della microglia proinfiammatoria nel Parkinson, soprattutto in putamen e corteccia. Intervenire presto su questi meccanismi potrebbe rallentare la progressione della malattia e migliorare la qualità di vita dei pazienti

di Isabella Faggiano
Parkinson, la microglia “infiammata” come motore nascosto della malattia: lo studio che illumina il ruolo del recettore P2X7

La neuroinfiammazione non è un fenomeno collaterale del Parkinson, ma un ingranaggio che può spingere i sintomi a peggiorare nel tempo. A rivelarlo è un nuovo studio pubblicato sul Journal of Nuclear Medicine, che riporta l’attenzione su un meccanismo ancora sottotraccia ma sempre più decisivo: l’attivazione proinfiammatoria della microglia, le cellule “sentinella” del cervello. Grazie a un tracciante PET di nuova generazione – il [11C]SMW139 – i ricercatori hanno potuto osservare ciò che finora era rimasto invisibile: il livello reale di microglia in stato proinfiammatorio, distinguendolo dalle altre forme di attivazione cellulare. Non un dettaglio tecnico, ma un punto chiave per capire perché alcuni pazienti vadano incontro a una progressione più rapida della malattia.

Il “punto debole” del Parkinson

“Il tracciante [11C]SMW139 si lega al recettore P2X7, un marcatore specifico della microglia proinfiammatoria”, spiega Salvatore Cuzzocrea, ordinario di Farmacologia all’Università di Messina.
Un cambiamento dell’approccio non da poco: finora la maggior parte degli studi si basava su marcatori aspecifici, spesso incapaci di distinguere tra processi neuroprotettivi e processi realmente neurotossici. Al centro di questo circuito infiammatorio resta l’alfa-sinucleina. Quando la proteina non viene degradata correttamente e forma gli aggregati tossici noti come corpi di Lewy, richiama e accende la microglia, innescando un “loop” che autoalimenta la neurodegenerazione. È qui che il recettore P2X7 diventa una sorta di “antenna” dell’infiammazione cronica.

Lo studio: più microglia proinfiammatoria in aree chiave del cervello

Nello studio multicentrico sono stati coinvolti 15 pazienti con Parkinson e 15 soggetti sani. Tutti hanno eseguito una PET di 90 minuti con misurazione continua del tracciante e analisi metabolica avanzata.
Il parametro principale considerato è stato il volume di distribuzione del radiotracciante parentale (VTp), che indica il livello di legame con il recettore P2X7.

I risultati mostrano un aumento dell’infiammazione microgliale nei pazienti con Parkinson:
• nel putamen, dove il segnale è significativamente più alto;
• nella corteccia cerebrale, con un incremento analogo;
• e, in analisi esplorativa, anche nella corteccia orbitofrontale, che mostra lo stesso tipo di aumento.

Non è invece emersa correlazione diretta tra grado di infiammazione e gravità dei sintomi motori o durata di malattia. Un dato che suggerisce come il processo neuroinfiammatorio possa essere già attivo molto prima del declino clinico evidente.

Una infiammazione “silenziosa” che anticipa i sintomi

La fotografia restituita dalla PET sembra sovrapporsi perfettamente alla storia naturale del Parkinson: i pazienti, infatti, presentano non solo sintomi motori, ma anche un lungo corteo di disturbi non motori – affaticamento, depressione, dolore neuropatico, disturbi del sonno – che spesso precedono di anni la comparsa del tremore o della rigidità. L’infiammazione cronica potrebbe dunque essere uno dei fili conduttori che unisce questi aspetti così diversi della malattia.

Verso terapie mirate alla microglia

Se il ruolo del recettore P2X7 viene confermato, la microglia proinfiammatoria potrebbe diventare un bersaglio terapeutico a tutti gli effetti. “Il nostro gruppo lavora da anni su molecole capaci di modulare l’infiammazione e prevenire l’accumulo di alfa-sinucleina“, continua Cuzzocrea. Tra queste, la Palmitoiletanolamide (PEA) — in forma ultra-micronizzata — da sola o associata a quercetina, sembra in grado di attenuare il fenotipo proinfiammatorio della microglia, proteggendo anche i mitocondri, veri “motori biologici” delle cellule nervose. Il messaggio che arriva dalla ricerca è chiaro: intercettare la neuroinfiammazione nelle fasi iniziali potrebbe cambiare il destino clinico dei pazienti.
Non solo rallentando la progressione della malattia, ma migliorando in modo significativo la qualità della vita, soprattutto nei sintomi più “nascosti” ma invalidanti.

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