Indagine dell’Istituto Piepoli per Fnomceo: per 9 italiani su 10 la scienza è motore di sviluppo; l’86% ha fiducia nella medicina, l’81% nel medico di famiglia, il 62% nel SSN
Nove italiani su dieci considerano la scienza come un motore di progresso e sviluppo e quasi altrettanti dichiarano fiducia nella scienza medica. Elevata anche la fiducia nel medico di famiglia, che si assesta all’81%, in linea con i sondaggi precedenti e superiore a quella verso ogni altra figura e istituzione.
Sono questi alcuni dei principali risultati dell’indagine “Il rapporto tra gli italiani e la scienza”, condotta per la Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, dall’Istituto Piepoli, intervistando un campione rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne.
“Sono dati che, letti insieme, ci trasmettono un messaggio fortissimo – commenta il Presidente della Fnomceo, Filippo Anelli – un messaggio che comunica fiducia. Ci dicono che l’Italia non è un Paese diffidente. Al contrario: è un Paese che riconosce nella scienza una bussola e nella medicina un presidio di sicurezza, di equità, di ordine”.
“Il medico – continua – non è solo una persona di fiducia, ma per nove italiani su dieci è addirittura una figura che contribuisce al progresso della società, laddove il 72% immagina che nei prossimi dieci anni vivremo in un mondo più protetto dalle malattie. E a pensarlo sono i più giovani, che di questo futuro, così vicino, saranno i protagonisti”.
Quasi due italiani su tre, ancora, dichiarano di avere fiducia nei confronti del sistema sanitario nazionale, con percentuali che vanno lievemente a decrescere al sud.
Sul piano etico e culturale, gli italiani percepiscono la ricerca come centrale per la qualità della vita: l’87% sa che la scienza permette di vivere più a lungo e il 67% vede nelle innovazioni mediche ad alta tecnologia un’opportunità straordinaria per la salute.
Non mancano, in ogni caso, le aree di dubbio: due italiani su tre pensano che a volte la tecnologia sembra troppo orientata al business e che la scienza parli un linguaggio distante dalla vita delle persone.
“Questa fiducia così solida nella scienza – nota Anelli – una fiducia in ogni caso ragionata, non fideistica, sembra però incrinarsi quando la conversazione tocca un punto preciso: i vaccini, in particolare quelli a mRNA, utilizzati con successo contro il Covid. È qui che la quota di diffidenza cresce, arrivando a coinvolgere un terzo della popolazione. È una incrinatura che non può essere ignorata, ma che non può neppure essere letta come rifiuto della scienza, perché i dati ci dicono il contrario: gli italiani credono nella scienza, credono nella medicina, credono nella ricerca. E accettano con maggior favore la stessa tecnologia quando si tratta di combattere il cancro. Ciò che temono, piuttosto, è la perdita di orientamento”.
“Stiamo parlando – spiega – della grande confusione del nostro tempo: una sovrapposizione continua tra informazioni corrette, mezze verità, narrazioni distorte, rapide e aggressive, amplificate all’ennesima potenza da canali che non distinguono la competenza dalla rumorosità ovvero l’arte di sommergere l’interlocutore con una quantità di dati, affermazioni e pseudo-evidenze tale da impedirgli qualsiasi verifica immediata. È un metodo collaudato per creare l’illusione della competenza e spostare sull’altro l’onere della confutazione. La ricerca Piepoli ci dice chiaramente che questo meccanismo produce conseguenze profonde: non sfiducia, ma disorientamento; non rigetto della scienza, ma paura di non comprenderla più, soprattutto quando la tecnologia corre più veloce della capacità collettiva di interpretarla”.
Eppure, in questo scenario, emergono anche segnali straordinari: quelli di un Paese pronto ad accogliere e sfruttare al meglio le nuove frontiere terapeutiche. .
L’87% degli italiani è consapevole che la ricerca scientifica gli ha allungato la vita; il 67% vede nelle tecnologie mediche un’opportunità da cogliere; il 68% sarebbe disposto a ricorrere a un vaccino a mRNA contro i tumori se ne avesse bisogno e l’84% considera un traguardo importante lo sviluppo di vaccini oncologici, anche se la maggioranza ammette che preferirebbe aspettare di vedere cosa succede agli altri prima di assumerlo.
In prospettiva genetica, l’88% ritiene giusto garantire a tutti i neonati il farmaco per la SMA, che pure ha costi elevatissimi, e oltre sei italiani su dieci sarebbero disposti a contribuire a questo attraverso il pagamento di una tassa di scopo. Anche le terapie geniche raccolgono l’approvazione degli italiani: per l’83% “ogni vita conta” e se esiste la possibilità di intervenire sulla genetica per prevenire malattie dobbiamo farlo. Il 63% dice sì alle terapie geniche per i bambini, percentuale che sale al 70% quando si tratta dei propri figli o nipoti. Ma qualche titubanza rimane in circa un italiano su quattro, che teme un eccessivo impatto dell’uomo sulla natura.
La sensibilità etica si coniuga con quella ambientale: l’84% vede un legame diretto tra la tutela dell’ambiente e la salute e quasi nove italiani su dieci ritengono prioritario integrare la dimensione ambientale nella sanità pubblica. L’antica narrazione di una tecnologia nemica della natura sembra ormai abbandonata: la maggioranza degli italiani, soprattutto – un po’ a sorpresa – i meno giovani, vedono nell’innovazione un alleato della sostenibilità. Forte anche il sostegno alla governance della ricerca: l’86% giudica utile una Agenzia Nazionale della Ricerca in sanità, per rendere più efficace il coordinamento dei fondi e dei progetti?.
Il 72% immagina che nei prossimi dieci anni vivremo in un mondo più protetto dalle malattie. A pensarlo, in questo caso, sono i più giovani. E protagonista e fautore di questo progresso sarà, per nove italiani su dieci, proprio il medico.
“Quella scattata dall’Istituto Piepoli – commenta ancora Anelli – è una fotografia nitida, e non è quella di un Paese impaurito o intimorito dalla scienza e dalle sue innovazioni. È piuttosto quella di un Paese che chiede di essere accompagnato nel cambiamento, di un Paese che accetta e accoglie l’innovazione quando riesce a intravederne la relazione, l’intenzione, il senso”.
“Allo stesso modo – conclude il Presidente Fnomceo – la fiducia nella scienza, nella medicina, nel medico, nel futuro non è solo fede: è una forma di speranza ragionata, informata, realistica. Questi dati ci consegnano un compito preciso: diventare mediatori di complessità. Non meri tecnici, non soli clinici, non ripetitori di linee guida: ma interpreti dei linguaggi nuovi che la scienza e la tecnologia ci offrono. La società ci sta chiedendo questo: non di semplificare ciò che non può essere semplificato, ma di renderlo comprensibile senza tradirne il significato; di custodire il rigore senza rinunciare all’empatia; di proteggere la qualità dell’informazione senza perdere il contatto con le persone che ci chiedono di orientarle, non di giudicarle. Ed è proprio qui che deve emergere con forza il nostro ruolo, il ruolo del medico. Siamo chiamati a interpretare il cambiamento, non a subirlo; a guidare l’informazione, non a inseguire la disinformazione; a spiegare i mutamenti di paradigma, non a farli cadere dall’alto come dati di fatto. Mettersi al servizio dell’umanità oggi significa proprio questo: unire competenza e responsabilità, innovazione e relazione, precisione tecnologica e delicatezza umana”.