Non esiste solo lo stigma verso le persone con disturbi mentali. Ma c’è anche il cosiddetto auto-stigma, cioè quando la persona interiorizza i pregiudizi sociali e li rivolge a sé. Riguarda circa 1 persona su 3 tra chi è seguito dai servizi, e frena richiesta d’aiuto, aderenza e ritorno a un ruolo sociale. Per questo l’Università di Trento coordina uno studio multicentrico NECT in 26 centri tra Veneto, Trentino e Alto Adige, con l’obiettivo di integrarlo nella pratica clinica. “Parlare di stigma significa cambiare sguardo, non slogan – precisa Giovanna Crespi, presidente dell’Associazione Anna e Luigi Ravizza – perché il pregiudizio isola, ritarda le cure e indebolisce i diritti; portare le evidenze tra le persone è il passo che consente a pazienti, famiglie e servizi di camminare davvero insieme”.
Lo stigma verso le persone con disturbi mentali è una barriera concreta a diagnosi tempestive, cure appropriate e inclusione sociale. È un fenomeno strutturale, pubblico, interno che riguarda anche familiari e professionisti. Per l’OMS è una priorità di salute pubblica da affrontare con azioni continuative, misurabili e orientate agli esiti. Le evidenze indicano che gli interventi sul contatto tra cittadinanza e persone con esperienza di disagio mentale modificano più dei soli interventi informativi atteggiamenti e comportamenti, specie se inseriti in contesti di vita quotidiana come scuola, lavoro e media locali. “Dare un nome ai pregiudizi aiuta a vederli e poi a cambiarli – aggiunge Crespi – solo ciò che si misura si può migliorare e il contatto reale è ciò che rende normale parlare di salute mentale trasformando la consapevolezza in comportamenti inclusivi”.
Accanto allo stigma pubblico esiste l’auto-stigma. Antonio Lasalvia, docente dell’Università di Trento e organizzatore del convegno, sottolinea che “l’auto-stigma rappresenta un ostacolo significativo sulla strada della cura e della possibile ripresa rivelandosi ed è una trappola mentale che condiziona identità e scelte che le persone con disturbi mentali mettono in atto verso sé stesse, lasciandosi condizionare dai pregiudizi della società. Proprio su questo piano occorre affiancare agli interventi di comunità un lavoro psicologico mirato”.
Esiste un intervento psicologico strutturato di gruppo messo a punto in USA, denominato Narrative Enhancement and Cognitive Therapy (NECT) che ha mostrato grande efficacia nel ridurre l’auto-stigma nelle persone con disturbi mentali, migliorandone autostima e qualità di vita. “In Italia stiamo conducendo uno studio mirato a valutare l’efficacia di questo intervento anche nei nostri servizi”, dichiara Lasalvia. “Il percorso NECT ha l’obiettivo di aiutare i pazienti a riconoscere e trasformare le convinzioni negative su sé stessi, promuovendo una visione più consapevole e positiva della propria identità. Lo studio – continua – coinvolge 26 centri di salute mentale tra Veneto, Trentino e Alto Adige, con l’obiettivo di integrare il NECT nella routine clinica italiana”.
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