Un nuovo studio condotto dal Dementia Research and Education Centre dell’Università della Tasmania, nell’ambito del progetto ISLAND (Island Study Linking Ageing and Neurodegenerative Disease), ha dimostrato come l’esercizio, soprattutto se vigoroso e praticato con regolarità, possa ridurre i livelli ematici della glial fibrillary acidic protein (Gfap), una proteina associata alla salute del cervello e considerata un biomarcatore del rischio di demenza. “Il risultato è significativo perché dimostra per la prima volta come un biomarker basato nel sangue, indicativo del rischio di demenza, sia associato a un fattore di rischio cruciale, accessibile e modificabile”, spiega Eddy Roccati, ricercatore del Centro.
La ricerca ha coinvolto 739 partecipanti cognitivamente sani di età compresa tra i 50 e gli 83 anni. I soggetti hanno compilato una serie di questionari online e fornito campioni di sangue per le analisi. L’attività fisica auto-riferita è stata valutata in base all’equivalente metabolico giornaliero, mentre il sangue è stato analizzato per diversi biomarcatori di neurodegenerazione, tra cui la catena leggera del neurofilamento sierico, la proteina GFAP, la tau fosforilata plasmatica e la genotipizzazione per l’apolipoproteina E (APOE) ε4. I risultati hanno mostrato che un maggiore livello di attività fisica era significativamente associato a concentrazioni più basse di GFAP. L’associazione era particolarmente evidente nei soggetti non portatori della variante genetica APOE ε4, conosciuta per aumentare il rischio di demenza.
Gli autori sottolineano che l’impatto dell’esercizio fisico non dipende solo dalla quantità, ma anche dall’intensità. Attività vigorose come correre o nuotare hanno mostrato un’associazione più forte con la riduzione della proteina GFAP rispetto a forme di movimento più moderate. Inoltre, la presenza del gene APOE ε4 sembra modificare questa relazione: nei portatori, infatti, l’associazione tra attività fisica e riduzione dei biomarcatori risulta meno evidente. Questo dato suggerisce che l’intervento sull’esercizio fisico possa avere effetti più marcati nei non portatori del gene di rischio.
Lo studio si inserisce in una cornice più ampia che comprende i 14 fattori di rischio modificabili per la demenza, tra cui attività fisica, sonno regolare, interazione sociale e controllo della pressione arteriosa. Colesterolo alto, obesità, fumo e perdita di udito, al contrario, aumentano le probabilità di sviluppare la malattia. “Se si possono misurare i biomarker nel sangue il più presto possibile – sottolinea Roccati – si può avere un’idea del rischio di demenza dopo 10 o 15 anni”.
Secondo i ricercatori, queste nuove evidenze forniscono una base per sviluppare interventi di prevenzione sempre più personalizzati, in grado di tener conto sia del profilo genetico individuale sia delle abitudini quotidiane. L’attenzione all’attività fisica, in particolare, appare come un investimento semplice e accessibile per ridurre il rischio di demenza nelle prossime generazioni.