Si intensificano gli sforzi sul campo per spezzare la catena di trasmissione dell’Ebola in Repubblica Democratica del Congo. Secondo l’ultimo aggiornamento dell’Oms Africa, al 17 settembre sono stati segnalati 48 casi – 38 confermati e 10 probabili – e 31 decessi. L’epidemia, dichiarata ufficialmente il 4 settembre, ha colpito finora 14 località nell’area di Bulape, nella provincia del Kasai. Per accelerare le operazioni di contenimento e sostenere la popolazione, l’Oms ha lanciato un appello da 21 milioni di dollari. L’obiettivo è chiaro: interrompere tutte le catene di trasmissione, controllare l’epidemia e ridurre l’impatto sulla salute pubblica. ‘’Siamo ancora agli inizi, serve un’azione decisa per consolidare i progressi e fermare la diffusione del virus’’, sottolinea Mohamed Janabi, direttore regionale Oms Africa.
A due settimane dalla dichiarazione dell’epidemia, oltre il 90% dei contatti dei casi confermati è ora sotto monitoraggio, contro il 19% registrato all’inizio. Sono 943 le persone in follow-up nell’epicentro di Bulape. Qui è stato allestito un centro di cura da 34 posti letto che ospita già 16 pazienti. Due persone sono state dimesse dopo essere guarite dall’Ebola, un segnale incoraggiante per la comunità e per gli operatori impegnati nella risposta.
Fondamentale anche la protezione di chi è in prima linea. Ad oggi, 523 operatori sanitari e loro contatti sono stati vaccinati, grazie a sei team mobili. Sono in arrivo ulteriori 45mila dosi, di cui 2mila già consegnate. Sul fronte diagnostico, la capacità di risposta è migliorata: i test vengono ora effettuati direttamente a Bulape, con tempi di risultato ridotti a 4-6 ore rispetto ai 4-5 giorni necessari in passato.
È il 16esimo focolaio di Ebola registrato in Congo. L’analisi genomica rivela una somiglianza del 99,5% con l’epidemia di Yambuku-Mayinga del 1976, ipotesi che porta a pensare a un nuovo spillover zoonotico e non a un legame diretto con le precedenti epidemie del 2007 e 2008. Il caso indice, una donna incinta di 34 anni residente a Tshitekeshi, si è ammalata il 10 agosto ed è stata ricoverata dieci giorni dopo nel reparto di ostetricia e ginecologia di un ospedale locale. È deceduta il 26 agosto e la sepoltura è avvenuta senza l’adozione di pratiche sicure. Diversi operatori sanitari coinvolti nella sua assistenza hanno successivamente sviluppato sintomi compatibili con la febbre emorragica virale, innescando l’allerta nazionale il 1° settembre.
Accanto alla gestione dell’emergenza, l’Oms ha convocato una consultazione scientifica per analizzare l’evoluzione del focolaio, condividere le lezioni apprese e individuare le priorità di ricerca. Dieci le aree considerate fondamentali: dalle terapie ai vaccini, fino al rafforzamento della diagnostica di laboratorio. Sono stati istituiti tre gruppi di esperti per garantire che le conoscenze generate possano supportare sia la risposta immediata sia la preparazione a lungo termine contro futuri focolai di filovirus. ‘’Ogni epidemia di Ebola – ricordano dall’Oms Africa – rappresenta un test cruciale per la capacità delle comunità e dei sistemi sanitari di reagire. Il lavoro sul campo oggi è intenso, ma solo un impegno coordinato, rapido e sostenuto potrà assicurare che il virus venga contenuto e la popolazione protetta’’.
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