Cosa significa, oggi, prendersi cura del cuore? Al Congresso della Società Europea di Cardiologia (ESC 2025), tenutosi a Madrid tra fine agosto e inizio settembre, la risposta è arrivata chiara: cura significa ascolto, personalizzazione e attenzione alla persona, non solo alla malattia.
Oltre 35 mila esperti da tutto il mondo si sono confrontati su ciò che davvero può fare la differenza nella vita quotidiana di chi ha avuto un infarto, soffre di aritmie, scompenso o malattie del muscolo cardiaco. E al centro di tutto non c’era solo la medicina che salva, ma quella che accompagna, semplifica e migliora la vita delle persone.
Una delle novità più interessanti riguarda la cura dopo un infarto. Finora, molti pazienti ricevevano per mesi (o anche per anni) le stesse combinazioni di farmaci, spesso “a pacchetto”. Ma oggi, i dati dicono che non serve curare tutti nello stesso modo. In alcuni casi, con i controlli giusti e nei pazienti a basso rischio, è possibile alleggerire la terapia. Questo significa meno effetti collaterali, meno farmaci da ricordarsi ogni giorno, e una cura più mirata.
Per esempio, in alcuni pazienti si può interrompere uno dei due farmaci antiaggreganti dopo solo un mese dall’infarto. In altri, si può valutare se i beta-bloccanti siano davvero necessari a lungo termine. Non è una rivoluzione da fare da soli – va sempre decisa con il medico – ma è un segnale importante: la cardiologia sta diventando più umana, meno “standard” e più attenta alla storia di ciascuno.
Per chi convive con fibrillazione atriale o ha dovuto affrontare un’ablazione cardiaca, ci sono notizie incoraggianti. Nuove tecniche stanno rendendo questi interventi più veloci, meno invasivi e con meno complicazioni. E per alcuni pazienti che, dopo l’ablazione, non hanno più avuto problemi, si potrà rivalutare la necessità di continuare con farmaci anticoagulanti a vita.
Anche qui, nessuna decisione deve essere presa senza il proprio specialista. Ma è rassicurante sapere che i progressi stanno andando nella direzione di una medicina che non chiede sacrifici inutili, e che ogni pillola deve avere una buona ragione per essere presa.
Chi vive con lo scompenso cardiaco lo sa: è una condizione impegnativa, fatta di controlli frequenti, farmaci, fiato corto e stanchezza. Ma proprio in quest’area stanno arrivando nuove terapie e nuove speranze. Non tutti i farmaci funzionano allo stesso modo in tutti i pazienti, ma per chi ha forme più gravi o complesse ci sono opzioni in più all’orizzonte.
Particolare attenzione è stata data a malattie poco conosciute, come l’insufficienza cardiaca causata dalla malattia di Chagas o da forme ereditarie di cardiomiopatia. Anche se rare in Italia, questi casi mostrano che la ricerca non lascia indietro nessuno.
Uno degli annunci che più ha colpito al congresso riguarda un piccolo strumento che potrebbe cambiare la medicina quotidiana: uno stetoscopio con intelligenza artificiale, capace di riconoscere in pochi secondi i segni dello scompenso cardiaco, delle aritmie o dei problemi valvolari. In un grande studio, è riuscito a triplicare le diagnosi precoci rispetto alla visita tradizionale.
Cosa c’entra con la realtà italiana? Molto. Con l’arrivo delle Case della Comunità e la spinta alla medicina del territorio, strumenti come questo possono aiutare medici e infermieri a fare diagnosi più rapide anche lontano dai grandi ospedali, dando ai pazienti risposte prima, e meglio.
Per la prima volta, la cardiologia europea ha riconosciuto ufficialmente che la salute mentale è parte integrante della salute cardiaca. Non è solo una questione psicologica: ansia, depressione, stress cronico possono peggiorare i sintomi cardiaci e aumentare i rischi.
Il documento approvato al congresso chiede che la salute mentale sia valutata e supportata nei percorsi di cura. Una proposta che in Italia dovrebbe far riflettere: troppe volte i pazienti si sentono dire “è tutto nella testa”, senza ricevere ascolto o aiuto. Anche le associazioni di pazienti, in questo, possono diventare protagoniste nel chiedere attenzione e supporto psicologico nei reparti e nei territori.
Per le donne con cardiopatie che desiderano una gravidanza, arrivano linee guida più moderne e rispettose della loro autonomia. Il messaggio è chiaro: si può diventare madri in sicurezza, con i giusti controlli, un team esperto e un percorso su misura. In Italia, dove l’accesso a queste consulenze è ancora disomogeneo, sarà fondamentale creare percorsi dedicati nei centri cardiologici e rafforzare la collaborazione tra specialisti e ginecologi.
Al di là dei singoli dati, ciò che emerge con forza dal congresso è un cambio di mentalità. La cardiologia si sta liberando dell’idea che esista una cura “giusta per tutti”. Al contrario, serve ascolto, dialogo, personalizzazione.
Per il Servizio Sanitario Nazionale italiano, questa è una sfida e un’opportunità. Portare queste innovazioni nella pratica quotidiana richiederà formazione, investimenti, aggiornamento dei protocolli, ma soprattutto la volontà di mettere al centro il paziente, la sua storia, i suoi bisogni.
Le associazioni possono avere un ruolo chiave: informare, accompagnare, orientare i pazienti, ma anche dialogare con le istituzioni per garantire equità di accesso, trasparenza nelle scelte e centralità della persona.
In sintesi, cosa ci lascia in eredità ESC 2025?
Il futuro della cardiologia è iniziato, e non è fatto solo di molecole e macchinari, ma di relazioni, ascolto, consapevolezza. È un cuore che batte al ritmo di chi lo vive, ogni giorno.
Riferimenti