Anche i padri possono sperimentare un profondo disagio psicologico durante e dopo la nascita di un figlio. A puntare l’attenzione sulla paternità, spesso offuscata dal ruolo materno soprattutto durante la gravidanza e nei primi mesi di vita del neonato, è uno studio appena pubblicato sulla rivista JAMA Pediatrics e coordinato da un gruppo di ricercatori della Deakin University di Melbourne, in Australia. La ricerca ha analizzato i dati provenienti da 80 studi internazionali, mettendo in luce un legame solido tra disagio mentale paterno, sotto forma di ansia, stress o depressione, e difficoltà nello sviluppo dei bambini, a partire dai primi mesi di vita.
Le evidenze raccolte mostrano che i padri che attraversano un momento di sofferenza psicologica tendono a essere meno coinvolti nella quotidianità con il neonato: leggono meno, giocano meno, appaiono più irritabili e meno reattivi ai bisogni del bambino. Tutti fattori che possono riflettersi sul benessere psico-fisico dei figli, con ricadute sul sonno, sull’alimentazione e persino sulla crescita ponderale. “Il malessere paterno – spiegano gli autori dello studio – si rivela particolarmente impattante nel periodo post-natale, confermando l’urgenza di intervenire già nelle prime settimane dopo la nascita”.
Per giungere a queste conclusioni i ricercatori hanno ascoltato direttamente la voce dei neo papà: “Volevo esserci per mio figlio, ma mi sentivo perso – racconta Kuiper, un papà intervistato nell’ambito dello studio – . Quando ho iniziato a frequentare un gruppo dedicato ai padri, ho capito di non essere solo e mi sono sentito più preparato ad affrontare il mio ruolo”. Secondo la dottoressa Genevieve Le Bas, autrice principale della revisione, il supporto psicologico ai papà non deve più essere considerato un optional, ma un tassello essenziale nella tutela della salute familiare. “I servizi sanitari sono ancora troppo focalizzati sulle madri. È tempo di includere sistematicamente anche i padri, perché la loro salute mentale ha effetti concreti sul benessere dei bambini”, conclude la ricercatrice australiana.
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