Usare ansiolitici, ipnotici, sedativi e antidepressivi prima di ricevere la diagnosi di ansia o depressione sarebbe associato ad un rischio più elevato di sviluppare la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA). A indagare su questa relazione è uno studio condotto in Svezia, pubblicato su JAMA Neurology, che ha coinvolto quasi 9mila persone tra pazienti con SLA, loro familiari e controlli. La domanda di partenza era semplice, ma cruciale: l’assunzione di comuni psicofarmaci – come ansiolitici, ipnotici, sedativi e antidepressivi – è associata a un aumentato rischio di sviluppare SLA? E può influenzarne la progressione?
La sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è una malattia neurodegenerativa che colpisce i motoneuroni, ma è sempre più riconosciuta anche per la sua complessa interazione con disturbi psichiatrici. Ansia, depressione e perfino schizofrenia sembrano intrecciarsi con la SLA ben prima dell’esordio clinico. Ma questa correlazione ha qualcosa da dirci sul rischio di ammalarsi? E che ruolo giocano i farmaci usati per curare questi disturbi?
Per rispondere a queste domande i ricercatori hanno analizzato le prescrizioni di ansiolitici, ipnotici, sedativi e antidepressivi nei cinque anni precedenti la diagnosi di SLA. L’uso prediagnostico di questi farmaci è risultato associato a un aumento significativo del rischio di sviluppare la malattia. In particolare: +34% per gli ansiolitici, +21% per ipnotici e sedativi, +26% per gli antidepressivi. Il rischio appariva tanto più elevato quanto più ci si avvicinava alla diagnosi. Anche l’assunzione da uno a cinque anni prima restava significativamente associata al rischio, mentre l’assunzione oltre i cinque anni mostrava un’associazione più lieve ma comunque rilevante. Non solo: chi aveva fatto uso di ansiolitici o antidepressivi prima della diagnosi mostrava una sopravvivenza più breve rispetto agli altri pazienti.
Cosa significano questi dati? Che i farmaci causano la SLA? I ricercatori sono cauti: più che una causa, l’uso di questi farmaci potrebbe rappresentare un segnale precoce della malattia, una sorta di campanello d’allarme invisibile. Alcuni sintomi psichiatrici – come depressione, ansia, disturbi del sonno – potrebbero infatti essere le prime manifestazioni di un processo neurodegenerativo in corso, ancora silente sul piano motorio. Non è la prima volta che si ipotizza un “prodomo psichiatrico” per la SLA. Studi precedenti hanno segnalato come disturbi mentali o del comportamento aumentino il rischio futuro di SLA. Questa ricerca aggiunge un tassello importante, suggerendo che anche l’esposizione farmacologica ai trattamenti di quei disturbi potrebbe aiutare a identificare precocemente soggetti a rischio.
Un altro dato interessante riguarda il confronto tra pazienti e loro familiari: confrontando i malati con i fratelli e i coniugi (che condividono geni e ambiente), l’associazione tra uso di psicofarmaci e SLA si attenuava, ma non scompariva del tutto. Questo lascia ipotizzare che una vulnerabilità psichiatrica preesistente, genetica o ambientale, possa essere un terreno comune su cui SLA e disturbi psichiatrici si sviluppano. Inoltre, l’assunzione degli psicofarmaci, da sola, non spiega tutto: i ricercatori hanno tenuto conto anche della diagnosi formale di disturbi psichiatrici, e l’associazione persisteva. Questo rafforza l’ipotesi che i farmaci siano un marcatore utile, ma non l’unico elemento in gioco.
La domanda diventa ora clinica: i medici dovrebbero considerare l’uso cronico di questi farmaci come un fattore di rischio per la SLA? La risposta non è ancora definitiva, ma lo studio svedese apre un fronte interessante. Se ansia, depressione e insonnia precedono l’esordio motorio della SLA, un’attenzione più mirata – soprattutto nei soggetti più anziani, che iniziano improvvisamente ad assumere psicofarmaci – potrebbe contribuire a diagnosi più tempestive, fondamentali per avviare precocemente il supporto multidisciplinare.
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