La peste suina africana (PSA) non è arrivata in Europa di recente dall’Africa: il virus che la causa
è presente nel continente almeno dal 2007. Lo rivela uno studio pubblicato su
Genome Biology and Evolution, la prestigiosa rivista dell’Oxford University Press, che si basa su nuove sequenze genomiche del virus isolate in Lituania. Il virus della peste suina africana provoca una malattia emorragica acuta nei suini domestici e nei cinghiali selvatici, con mortalità altissima.
I danni economici
Secondo l’Organizzazione mondiale per la salute animale, solo nel 2022 l’Europa ha perso oltre un milione di capi suini a causa della malattia, con un impatto che si fa sentire non solo sui bilanci ma anche sull’equilibrio degli ecosistemi. Andando a ritroso, è stato stimato che dal 2007 ad oggi, i danni economici causati dall’epidemia hanno superato i 2,1 miliardi di dollari, un peso insostenibile per la filiera agricola europea. Nonostante questo, non esiste ancora un vaccino efficace disponibile su larga scala.
Un’origine europea e una diffusione “locale”
Lo studio, guidato da Christopher Netherton del Pirbright Institute nel Regno Unito, ha analizzato dieci campioni del virus raccolti in Lituania tra il 2016 e il 2019. Il lavoro ha chiarito un punto fondamentale: il virus che circola oggi in Europa non deriva da importazioni recenti dall’Africa, ma è un ceppo “europeo”, geneticamente stretto e distinto, che si è diffuso nel continente e continua a evolversi. “La diffusione della PSA in Europa – spiega Netherton – è favorita soprattutto da spostamenti umani a lunga distanza. Non abbiamo evidenza di scambi recenti con virus africani. I ceppi europei sono tutti strettamente imparentati”.
Polonia, Ucraina, Germania
Il lavoro ha evidenziato il ruolo chiave di paesi come Polonia, Ucraina, Germania e Lituania nella trasmissione del virus all’interno del continente. Il virus della peste suina africana resta una minaccia persistente e concreta per la salute dei suini domestici e selvatici europei. “Ogni genoma virale che sequenziamo – conclude Netherton – contribuisce ad approfondire la nostra comprensione delle dinamiche di circolazione e ci avvicina all’obiettivo di contenere e prevenire la malattia.”