C’è una speranza concreta che passa da un gesto semplice: una compressa al giorno. È quanto suggerisce uno studio appena pubblicato sul
New England Journal of Medicine, che apre nuove prospettive nella prevenzione delle nascite premature, ancora oggi tra le principali cause di morte infantile a livello globale. La scoperta arriva dallo Zimbabwe, ma ha il potenziale per cambiare la vita di madri e bambini in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi a basso reddito. Un antibiotico largamente disponibile, sicuro e a basso costo — il trimetoprim-sulfametossazolo — ha dimostrato di ridurre del 40% il rischio di parto prematuro quando somministrato quotidianamente durante la gravidanza.
Quasi mille donne coinvolte
La ricerca, coordinata da Andrew Prendergast della Queen Mary University di Londra e da Bernard Chasekwa dello Zvitambo Institute in Zimbabwe, ha coinvolto 993 donne incinte. A metà di loro è stato somministrato il farmaco quotidianamente, all’altra metà un placebo. I risultati sono sorprendenti: solo il 6,9% delle donne che hanno assunto l’antibiotico ha partorito prematuramente, contro l’11,5% del gruppo placebo. E un dato colpisce più di tutti: nessuna donna nel gruppo trattato ha avuto un parto prima della 28ª settimana di gestazione. Una protezione potente anche per le madri con HIV. Il beneficio è stato ancora più marcato tra le donne con HIV, un gruppo particolarmente vulnerabile alle complicanze in gravidanza: solo il 2% ha partorito prematuramente con l’antibiotico, rispetto al 14% tra chi ha ricevuto il placebo. Inoltre, anche se il peso medio alla nascita non ha mostrato una differenza statisticamente significativa su scala generale, i bambini nati da madri trattate pesavano in media 177 grammi in più, un margine che in molti contesti può fare la differenza tra la vita e la morte.
Un farmaco ‘antico’ per una strategia nuova
Il trimetoprim-sulfametossazolo non è un nome nuovo nei protocolli sanitari: è un antibiotico ad ampio spettro, usato da decenni soprattutto in Africa subsahariana, anche per la prevenzione di infezioni opportunistiche nei pazienti con HIV. Ma è la prima volta che viene studiato sistematicamente per la prevenzione delle nascite pretermine.
“La prematurità resta la prima causa di morte tra i bambini sotto i cinque anni nel mondo — ricorda Chasekwa — e le infezioni materne giocano un ruolo centrale. Se possiamo agire su questo fronte, possiamo salvare vite, ora’’. Lo studio, sebbene promettente, non rappresenta ancora una svolta definitiva. I ricercatori sottolineano la necessità di replicare i risultati in contesti geografici e sanitari differenti, per capire se l’effetto positivo si conferma anche in assenza di HIV o in ambienti con diverso carico infettivo.