La ricerca italiana nelle malattie infettive si impone a livello internazionale con la 17esima edizione di Icar- Italian Conference on Aids and Antiviral Research, inaugurata oggi 21 maggio, che si concluderà venerdì 23 al Padova Congress. Nuovi studi propongono trattamenti per l’Hiv sempre più efficaci, tollerabili e adattabili alle esigenze delle persone che vivono con l’infezione. Alcuni di questi studi mostrano come le terapie attuali permettano non solo di controllare l’infezione nel lungo periodo, ma anche di semplificare la vita quotidiana, di adattarsi a pazienti con altre patologie e di offrire soluzioni per chi ha difficoltà a prendere farmaci ogni giorno. Come emerge dalle esperienze condivise a Icar, l’Italia è attivamente impegnata anche nella cooperazione con i Paesi a basso-medio reddito. Ma su questi progetti sono intervenuti i tagli americani, che minacciano anche le Ong italiane, oltre a tutta la ricerca internazionale.
“In uno studio che verrà presentato dal Policlinico Umberto I di Roma – si legge in una nota dal congresso – il regime in singola compressa a base di bictegravir/emtricitabina/tenofovir alafenamide mostra un’ottima efficacia a 144 settimane (quasi 3 anni) nel mantenere sotto controllo il virus anche in persone con più di 55 anni, spesso con più patologie e considerate più vulnerabili. Si osserva un miglioramento del sistema immunitario e un buon profilo metabolico, con un controllo virale stabile nel 93% dei partecipanti e nessuna tossicità rilevante. E ancora. Come emerge dai dati della coorte Odoacre, una rete di centri italiani che seguono migliaia di pazienti in modo coordinato, la terapia a 2 farmaci dolutegravir/lamivudina (DTG+3TC) si conferma a 10 anni una scelta efficace e sicura. Lo studio, su oltre 2.500 persone con Hiv, ha analizzato l’efficacia e la tollerabilità del regime in una popolazione reale, con un’età mediana di 55 anni. Dopo 10 anni di follow-up, oltre il 90% dei pazienti mantiene il controllo del virus, senza mutazioni che causano resistenza ai farmaci stessi. La terapia è ben tollerata, con pochissimi abbandoni per effetti collaterali, e ha anche benefici sul profilo metabolico, con miglioramenti nei livelli di colesterolo e insulino-resistenza. Questa semplificazione terapeutica non solo funziona, ma si adatta bene anche a persone più avanti con gli anni o con comorbidità.
Un terzo studio, a opera di specialisti afferenti all’Università Bicocca e all’Ospedale Niguarda di Milano, ha esplorato una frontiera più recente: la terapia iniettabile a lunga durata (long-acting) a base di cabotegravir e rilpivirina. Questa strategia, che prevede un’iniezione ogni 2 mesi, è stata testata in persone con Hiv con carica virale ancora rilevabile a causa di scarsa aderenza alla terapia orale quotidiana. Anche in questo contesto difficile, oltre il 75% dei partecipanti ha raggiunto la soppressione virale, dimostrando che la terapia long-acting può essere un’opzione valida anche nei pazienti più fragili o discontinui nel trattamento.
“Questi e altri studi presentati a Icar confermano che oggi vivere con l’Hiv non significa più convivere con terapie pesanti o invalidanti – afferma Stefano Rusconi, copresidente Icar -. Esistono soluzioni efficaci per ogni esigenza: dalla compressa giornaliera per chi vuole semplificare alle iniezioni bimestrali per chi non riesce ad assumere farmaci ogni giorno. Personalizzazione, durata e tollerabilità diventano le parole chiave della terapia moderna. E l’Italia è protagonista, contribuendo con dati reali alla ricerca internazionale”. A fronte di terapie sempre più efficaci e personalizzate, è fondamentale assicurare che tutti i pazienti possano accedervi in modo equo, indipendentemente dalla regione o dalla condizione socioeconomica, sottolineano gli esperti. “La sostenibilità non riguarda solo i costi, ma anche la governance dei percorsi di cura, la continuità terapeutica e l’equità nell’accesso ai farmaci – evidenzia Rusconi – Bisogna garantire scelte terapeutiche appropriate, bilanciando efficacia, tollerabilità e impatto economico sul sistema sanitario. L’adozione di strategie terapeutiche flessibili, semplificate e ben tollerate, come quelle emerse dagli studi italiani, si conferma una risorsa fondamentale non solo per i pazienti, ma anche per la tenuta del sistema sanitario nel lungo periodo”.
“La ricerca italiana presentata a Icar 2025 non si ferma ai confini nazionali. E’ infatti crescente il contributo scientifico portato in Paesi a basso reddito. In Tanzania, ad esempio – prosegue la nota – il progetto quinquennale coordinato da Medici con l’Africa Cuamm, presentato a Icar da Giulia Martelli, dimostra l’efficacia di un modello di cura basato sulla comunità per migliorare l’accesso ai test Hiv e alla terapia, con oltre 330mila test eseguiti e più del 90% dei pazienti con viremia soppressa. Risultati particolarmente rilevanti sono stati ottenuti anche nella prevenzione della trasmissione del virus da madre a figlio, grazie a un’adesione quasi totale ai programmi di trattamento nelle donne in gravidanza. In Mozambico, Francesco Castelli ha guidato uno studio dell’Università di Brescia volto a migliorare l’uso degli antibiotici nei pazienti con febbre non malarica. L’introduzione di semplici test diagnostici ha permesso di ridurre del 15% l’uso improprio di antibiotici, senza compromettere gli esiti clinici. Lo stesso studio ha anche offerto nuovi dati sulla diffusione di infezioni da virus come Zika in contesti rurali africani”.
I risultati conseguiti sia a livello nazionale che nella cooperazione internazionale – ammoniscono gli esperti – potrebbero subire un duro colpo dalle decisioni dell’amministrazione Trump relative ai tagli del personale delle agenzie governative sanitarie e ai tagli alla ricerca. “L’attuale situazione ha le sue ricadute sulla ricerca infettivologica – avverte Rusconi – Gli scienziati delle agenzie federali statunitensi vedono ridotti i budget a loro disposizione. Inoltre, il congelamento di fondi a programmi di ricerca sull’Hiv come Pepfar o Usaid avranno conseguenze soprattutto nei Paesi più poveri: questo potrebbe comportare allarmanti passi indietro nella lotta alla pandemia da Hiv in Africa, mettendo in discussione i risultati raggiunti finora e compromettendo le prospettive future”.
“I tagli di Usaid hanno avuto pesanti e immediate ripercussioni sulla nostra attività – testimonia don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm, Ong impegnata nella promozione e nella tutela della salute delle popolazioni africane con sede proprio a Padova – In Uganda abbiamo dovuto sospendere 2 progettualità per la cura di mamme e bambini da un lato e per i malati di tubercolosi dall’altro. Abbiamo dovuto interrompere cure di base e servizi come il trasferimento di una mamma che deve partorire da un centro sanitario periferico all’ospedale dove poter effettuare un cesareo, se serve. Non c’erano più i fondi per garantire il gasolio necessario al generatore che permette di alimentare i frigoriferi dove vengono conservati i vaccini per i bambini; mancavano i fondi per materiale sanitario e farmaci, per gli stipendi del personale locale. Adesso stiamo facendo ogni sforzo per cercare di sopperire con altre risorse. Oltre a queste conseguenze, c’è l’impatto indiretto: in Paesi come il Mozambico, ad esempio, il sistema sanitario andrà pesantemente in difficoltà nei prossimi mesi. Purtroppo, a pagarne le conseguenze saranno i più poveri, che non avranno accesso alle cure di base”.
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